Se vogliamo che l’UE continui a esistere è necessario un radicale cambio di marcia. Parla Mario Draghi

di Alberto Falchi ♦︎ L'ex Premier ha presentato la sua relazione sulla competitività dell'UE. Per non rimanere indietro, servono investimenti per 800 miliardi su innovazione ,decarbonizzazione, governance. Fondamentale implementare il Mercato Unico

Cosa metterà nero su bianco Mario Draghi nel report sul futuro della competitività dell’Ue richiestogli da Ursula Von Der Leyen? Non sono nella sua mente, ma credo che emergeranno due emergenze: quella di un nuovo sistema industriale europeo integrato e quello di un cambiamento nell’assetto istituzionale dell’Unione, dice Patrizio Bianchi, uno dei maggiori economisti industriali in Europa, nonché ministro dell’Istruzione proprio del governo Draghi

La crescita in UE? «Continua a rallentare, a causa del calo della produttività, minando le ambizioni europee». Lo scrive Mario Draghi nel suo report sulla competitività europea, un documento voluto fortemente dall’UE e presentato in una conferenza stampa alla quale ha preso parte anche Ursula von Der Leyen. Sottolineando che «È necessario aumentare la competitività dell’UE per rilanciare la produttività e sostenere la crescita in questo mondo in evoluzione». Ma attenzione: Draghi evidenza che «promuovere la competitività non dovrebbe essere considerato in un senso ristretto di un gioco a somma zero focalizzato sulla conquista di quote di mercato globali e sull’aumento degli avanzi commerciali. Non dovrebbe neanche portare a politiche di difesa dei “campioni nazionali” che possono soffocare la concorrenza e l’innovazione, o all’uso della repressione salariale per abbassare i costi relativi». Al contrario, secondo Draghi «la competitività oggi riguarda meno i costi relativi del lavoro e più le conoscenze e le competenze incorporate nella forza lavoro».

Insomma: siamo molto indietro a Usa e Cina in termini di crescita, ma non possiamo giocare la partita abbattendo i salari (già mediamente bassi) né continuando a favorire i soliti grandi attori: serve investire pesantemente sulle competenze e le conoscenza. Sulla ricerca, insomma, sull’innovazione. E sull’internalizzazione, perché se dal 2000 al 2019 gli USA hanno visto il loro Gdp crescere dal 25% al 26%, nel Vecchio Continente si è passati dal 30% al 43%. Ma anche sotto questo profilo, le cose stanno rapidamente cambiando a causa della situazione geopolitica: «l’ordine commerciale multilaterale è ora in profonda crisi e l’era della rapida crescita del commercio mondiale sembra essere passata: l’Fmi prevede che il commercio mondiale crescerà del 3,2% a medio termine, un ritmo ben al di sotto della media annua del 4,9% registrata dal 2000 al 2019. In secondo luogo, con la normalizzazione dei rapporti con la Russia, l’Europa è stata in grado di soddisfare la sua domanda di energia importata approvvigionandosi di ampio gasdotto, che rappresentava circa il 45% delle importazioni di gas naturale dell’UE nel 2021. Ma questa fonte di energia relativamente economica è ora scomparsa a un costo enorme per l’Europa».







Le tre trasformazioni che deve affrontare l’Europa

Sono tre gli ambiti su cui l’ex Primo Ministro insiste. Prima di tutto, l’innovazione tecnologica, che va accelerata, sia per mantenere la leadership nel manifatturiero, sia per guidare l’innovazione. Solamente quattro delle prime 50 aziende tech al mondo sono europee e la nostra supremazia in ambito tecnologico è in declino dal 2013, mentre gli Usa sotto questo profilo corrono velocemente. E una delle tecnologie su cui puntare è indubbiamente l’intelligenza artificiale, che rappresenta una nuova rivoluzione industriale.

Politiche industriali frammentate, caro energia, dipendenza da altri Paesi sono fra le cause della stagnazione della produttività UE, che è cresciuta lentamente rispetto a Usa e Cina. (Fonte: THE FUTURE OF EUROPEAN COMPETITIVENESS)

Un secondo aspetto chiave è riuscire ad abbattere i costi energetici senza però rinunciare agli sforzi su decarbonizzazione ed economia circolare. In particolare, la decarbonizzazione può dare all’UE la spinta per diventare leader nell’ambito dell’energia green, ma se riuscirà a farlo dipenderà solo dalla capacità di allineare le politiche degli Stati Membri agli obiettivi della transizione energetica. Sia chiaro: secondo Draghi i combustibili fossili non sono destinati a sparire nel breve termine e almeno sino alla fine di questa decade, durante la quale giocheranno ancora un ruolo chiave nel tenere bassi i costi energetici. Anche la Cina, però, sta accelerando rapidamente sul tema delle energie pulite, e di conseguenza per l’UE è fondamentale adottare una strategia coerente per tutti gli aspetti relativi alla decarbonizzazione, dal settore energetico a quello dell’industria.

Infine, il terzo aspetto da considerare è la situazione geopolitica. «L’Europa deve reagire a un mondo di geopolitica meno stabile, dove le dipendenze stanno diventando vulnerabilità e non può più fare affidamento sugli altri per la propria sicurezza». Una situazione complessa, perché se da una parte l’UE dipende molto dalla Cina per terre rare e altri materiali, il Paese del Dragone dipende dall’UE per assorbire la sua sovracapacità industriale. Allo stesso tempo, gli Usa stanno riportando in casa la produzione di semiconduttori, trasformando totalmente anche le supply chain nell’ottica di appoggiarsi prevalentemente ai suoi alleati. La Cina, al contrario, sta puntando su un approccio più autarchico. L’Europa si trova in mezzo a queste grandi trasformazioni, e deve anche cominciare a investire massicciamente sulla Difesa.

Nel rapporto, Draghi sottolinea come a livello individuale i singoli Stati stanno reagendo alla situazione introducendo politiche specifiche, ma lo fanno in maniera frammentata, vanificando almeno in parte questi sforzi.

Una nuova strategia industriale per rendere l’UE competitiva

Fin qui è evidente che tre sono i punti su cui investire: colmare il gap sull’innovazione, abbattere i costi energetici e infine migliorare la sicurezza e ridurre le dipendenze da altri Stati. Per raggiungere l’obiettivo, Draghi suggerisce di puntare su tre tasselli fondamentali, tre “building block”.

  1. Implementare il Mercato Unico (Single Market). “Il Mercato Unico è fondamentale per tutti gli aspetti della strategia: per consentire alle giovani aziende innovative e alle grandi industrie che competono sui mercati globali di crescere; per creare un mercato energetico comune ampio e diversificato, un mercato dei trasporti multimodale integrato e una forte domanda di soluzioni per la decarbonizzazione; per negoziare accordi commerciali preferenziali e costruire catene di approvvigionamento più resilienti; per mobilitare volumi maggiori di finanziamenti privati; e, di conseguenza, per sbloccare una maggiore domanda interna e investimenti. Le restanti frizioni commerciali nell’UE significano che l’Europa sta lasciando sul tavolo circa il 10% del potenziale Pil, secondo una stima.
La dipendenza dal gas russo si è rivelata un problema. Con lo scoppio del conflitto in Ucraina, il prezzo dell’energia nel Vecchio Continente è cresciuto significativamente. (Fonte: THE FUTURE OF EUROPEAN COMPETITIVENESS)
  1. Industria, competizione e politiche di interscambio. Fra le priorità indicate da Draghi, la necessità di politiche industriali e regole per la competitività neutrali, che facilitino l’ingresso sul mercato di nuovi attori. «Ad esempio – si legge nel report –  poiché l’innovazione nel settore tecnologico è rapida e richiede grandi budget, le valutazioni delle fusioni dovrebbero considerare come la concentrazione proposta influirà sul potenziale di innovazione futura in aree critiche per l’innovazione. I Progetti Importanti di Interesse Comune (IPCEI) dovrebbero essere estesi a tutte le forme di innovazione che potrebbero spingere efficacemente l’Europa verso la frontiera nei settori strategicamente importanti e beneficiare dei finanziamenti dell’UE».
  2. Riformare la governance nel’UE. Secondo Draghi, il “Community Method” adottato fino a ora è stato responsabile del successo dell’UE, ma ora i tempi sono cambiati, e serve un nuovo approccio. «Per andare avanti, l’Europa deve agire come un’Unione in un modo che non ha mai fatto prima, basandosi su un rinnovato partenariato europeo tra gli Stati membri. Sarà necessario concentrare il lavoro dell’UE sulle questioni più urgenti, garantire un’efficace coordinazione delle politiche dietro obiettivi comuni e utilizzare le procedure di governance esistenti in un modo nuovo, che permetta agli Stati membri che vogliono avanzare più velocemente di farlo. In molte aree, l’UE può ottenere grandi risultati compiendo un gran numero di piccoli passi, ma facendolo in modo coerente e allineando tutte le politiche dietro l’obiettivo comune».

Preservare l’inclusione sociale

Un capitolo dell’analisi di Draghi è incentrato sull’inclusione sociale. L’UE è chiamata a un deciso cambio di direzione, ma è fondamentale che questo venga fatto in maniera differente dagli Usa, dove le politiche di welfare sono estremamente limitate. Un compito non semplice in un periodo dove l’innovazione tecnologica, a partire dall’IA, rischia di stravolgere il mercato del lavoro. Se già l’automazione ha pesato per il 50/70% sulle disparità delle buste paga fra i lavoratori con più competenze e quelli che ne erano privi, l’IA potrebbe avere un impatto ancora superiore «Lo stato sociale europeo sarà quindi fondamentale per fornire servizi pubblici forti, protezione sociale, alloggi, trasporti e assistenza all’infanzia durante questa transizione. Allo stesso tempo, l’Europa avrà bisogno di un approccio completamente nuovo alle competenze. L’UE deve garantire che tutti i lavoratori abbiano il diritto all’istruzione e alla riqualificazione, permettendo loro di assumere nuovi ruoli man mano che le loro aziende adottano nuove tecnologie, o di accedere a buoni posti di lavoro in nuovi settori».

Ma facendo i conti, quanto dovrebbe investire l’UE per raggiungere questi risultati? Tanto, almeno 750/800 miliardi, circa il 4,4/4,7% del Gdp dell’Europa nel 2023.« L’UE può soddisfare queste esigenze di investimento senza sovraccaricare le risorse dell’economia europea, ma il settore privato avrà bisogno del sostegno pubblico per finanziare il piano. La Commissione Europea e il Dipartimento di Ricerca del FMI hanno simulato scenari di un impulso sostenuto agli investimenti dell’UE pari a circa il 5% del PIL, utilizzando i loro modelli multi-paese. I risultati suggeriscono che investimenti di questa portata aumenterebbero la produzione di circa il 6% entro 15 anni. Poiché l’offerta si adatta più gradualmente della domanda – poiché l’accumulo di capitale aggiuntivo richiede tempo – la fase di transizione implica alcune pressioni inflazionistiche, ma queste pressioni si dissipano nel tempo. Sbloccare gli investimenti sarà una sfida. Storicamente, in Europa, circa quattro quinti degli investimenti produttivi sono stati realizzati dal settore privato, e il restante quinto dal settore pubblico. Realizzare investimenti privati pari a circa il 4% del PIL attraverso il solo finanziamento di mercato richiederebbe una riduzione del costo del capitale privato di circa 250 punti base nel modello della Commissione Europea. Sebbene si preveda che una maggiore efficienza del mercato dei capitali (ad esempio, attraverso il completamento dell’Unione dei mercati dei capitali) riduca i costi di finanziamento privato, è probabile che la riduzione sarà sostanzialmente inferiore. Pertanto, incentivi fiscali per sbloccare gli investimenti privati sembrano necessari per finanziare il piano di investimenti, oltre agli investimenti diretti del governo».














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