La UE tra disillusione dell’Est e affermazione della Polonia industriale. Lo racconta Patrizio Bianchi

di Marco De' Francesco ♦︎ A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, c'è un nuovo fronte interno, quello della disillusione. Arriva dai Paesi dell'Est, sfiduciati dal ruolo dell'UE. La Germania diventa meno rilevante e Polonia si propone come leader emergente. Le università e l'industria dovrebbero lavorare insieme su programmi congiunti di ricerca e sviluppo. Serve una leadership federale e democratica, che guidi l'Europa verso il cambiamento

E se il Muro di Berlino non fosse mai veramente caduto? Sì, perché a oltre 30 anni di distanza temporale dalla fine del comunismo in Europa dell’Est, dalla riunificazione della Germania e dal termine della Guerra Fredda (con successivo allargamento a Est dell’UE), si scopre che in Europa c’è un nuovo fronte interno, il fronte della disillusione. «In genere, i Paesi dell’Est non credono più nel ruolo dell’Unione Europea. Non credono nell’attuale leadership, perché non ha portato i benefici sperati, anzi», afferma Patrizio Bianchi, uno dei maggiori economisti industriali italiani nonché ex ministro dell’Istruzione del governo Draghi. Autore di centinaia di pubblicazioni, è stato ordinario (ora emerito) a Ferrara, dove è diventato prima preside di Economia e poi Rettore. È stato presidente di Sviluppo Italia (ora Invitalia) e consigliere di amministrazione dell’Iri. L’occasione, il 33esimo Forum Economico dell’Europa Centro Orientale (che quest’anno si è tenuto a Karpacz in Polonia) a cui hanno partecipato giorni fa oltre seimila fra economisti, imprenditori ed amministratori. Il fatto è che i Paesi dell’Est sono diventati, loro malgrado, la cartina tornasole della crisi europea.

Da una parte, tutta l’Europa è in crisi. Nel 2008 l’UE rappresentava i 10 ottavi degli Stati Uniti, in termini di Pil; ora poco più dei sei decimi. Ci siamo dimezzati in 15 anni. Nel 2008 l’EU valeva tre volte la Cina, che ora ci ha raggiunto. Dall’altra, però, con l’eccezione della Polonia in crescita i Paesi dell’Est sono quelli che hanno sperimentato le conseguenze più intense di questo rallentamento. «I progressi economici insufficienti e il contestuale adeguamento del costo della vita a livelli più “occidentali” hanno determinato l’impoverimento della popolazione e il rafforzamento delle disuguaglianze sociali. Qui la delusione è profonda, e le posizioni estremiste verso il nazionalismo e verso il suo contrario, il mondo della nostalgia comunista, riprendono piede», continua Bianchi.







E in realtà le istituzioni europee sono allarmate: il 22 settembre, ad esempio, si terranno le elezioni in Brendeburgo, e secondo le proiezioni l’Adf, il partito di estrema destra parte del fronte della disillusione, è pronto al colpaccio.

Come se ne esce? Dal Forum Economico è emersa la richiesta di una nuova leadership: la leadership del cambiamento. Questa dovrebbe essere federale, capace di condivisione del potere tra un governo centrale e quelli locali, ognuno con specifiche responsabilità e competenze. Dovrebbe essere in grado di gestire in modo coeso la complessità del mondo contemporaneo con un orientamento ai risultati – puntando su strategie realistiche che portino a un miglioramento tangibile delle condizioni economiche e sociali. E dovrebbe adottare un approccio inclusivo, che coinvolga tutti, senza dimenticare i Paesi dell’Est.

D: Dal 1990 in poi, con la caduta del muro di Berlino, i Paesi dell’Europa dell’Est hanno abbandonato il sistema economico comunista e progressivamente sono entrati nell’Unione Europea. A distanza di tanti anni, come ritiene che questi Paesi valutino questo cambiamento?

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L’economista Patrizio Bianchi

R: Le opinioni all’interno dei Paesi dell’Europa dell’Est riguardo al loro ingresso nell’Unione Europea variano notevolmente. Alcuni Paesi, come la Polonia, hanno tratto vantaggi significativi dall’adesione. La Polonia è diventata un’importante area di espansione per la Germania, grazie alla sua posizione geografica e alla capacità di attrarre investimenti. Questo le ha permesso di beneficiare economicamente dalla domanda che proveniva dall’Occidente, dove i mercati stavano raggiungendo la saturazione. D’altra parte, ci sono stati Paesi che hanno vissuto questo cambiamento con delusione, sentendo nostalgia per alcuni aspetti del vecchio regime. In particolare, la transizione verso un’economia di mercato ha creato difficoltà economiche e sociali. Ad esempio, l’integrazione economica ha portato a un aumento del costo della vita che è non stato accompagnato da un incremento proporzionale dei redditi, creando malcontento tra la popolazione. La crisi economica in Germania, strettamente collegata con le tensioni con la Russia e l’embargo nei confronti della Cina, ha ulteriormente complicato le dinamiche nella regione, spingendo alcuni Paesi verso posizioni nazionalistiche di Destra. Tuttavia, il rallentamento dell’economia tedesca sta rendendo la posizione della Polonia più rilevante in Europa. In questo contesto, la Polonia si propone come un leader emergente in Europa centrale, capace di affrontare le sfide economiche e politiche, e pronta a sfruttare la sua prossima presidenza del Consiglio dell’Unione Europea per consolidare la sua influenza. Peraltro la Polonia esprime anche un’importante personalità in Europa, l’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

D: In pratica, cosa sostiene la Polonia?

R: La Polonia sostiene di essere l’avanguardia dell’Europa, grazie alla sua continua crescita economica e alla capacità di utilizzare efficacemente i fondi europei per svilupparsi. Afferma di aver dimostrato di saper cogliere le opportunità offerte dall’UE meglio di molti altri Paesi dell’Europa orientale e centrale. Inoltre, si considera una nazione che può garantire stabilità in questa parte del continente, anche in un periodo di crisi per la Germania e di incertezze politiche in molti altri Paesi membri. Varsavia si vede come un attore chiave nel mantenere la coesione dell’Europa centrale e orientale e vuole essere al centro di una nuova fase di crescita e integrazione europea. Con la presidenza del Consiglio dell’UE che inizierà il prossimo gennaio, intende rafforzare la sua posizione di leadership e influenzare le politiche europee per garantire che l’Europa orientale rimanga al centro delle priorità dell’Unione.

D: Nei giudizi non positivi degli altri Paesi dell’Est, cosa pesa di più, la lentezza della crescita o l’aumento del costo della vita?

Secondo i sondaggi, l’Afd (Alternative für Deutschland), il partito nazionalista tedesco, euroscettico, è in vantaggio sulle altre formazioni per le prossime elezioni del 22 settembre in Brandeburgo. In parte, è dovuto al fatto che la maggioranza della popolazione si è sentita impoverita, percependo come un tradimento l’operato delle istituzioni e di partiti come quello socialista, che avrebbero dovuto tutelare le classi più deboli. (Fonte: Unione Europea)

R: Diversi fattori contribuiscono ai giudizi negativi espressi da alcuni Paesi dell’Europa dell’Est. Uno dei principali problemi è stato l’adeguamento alle norme e agli standard europei, difficili da recepire. Quanto al citato allineamento dei costi della vita ai livelli occidentali ha colpito duramente le classi lavoratrici dei Länder orientali della Germania, come il Brandeburgo, dove è stato percepito come un peso significativo. Nell’ex Germania Est alcuni imprenditori e settori industriali hanno tratto vantaggio dall’integrazione; ma la maggioranza della popolazione si è sentita impoverita, percependo come un tradimento l’operato delle istituzioni e di partiti come quello socialista, che avrebbero dovuto tutelare le classi più deboli. Secondo i sondaggi, l’Afd (Alternative für Deutschland), il partito nazionalista tedesco, euroscettico, è in vantaggio sulle altre formazioni per le prossime elezioni del 22 settembre in Brandeburgo. In generale, nei Paesi dell’Est l’adesione all’Unione Europea è stata realizzata senza le necessarie misure di supporto per garantire una transizione più equa e sostenibile. L’UE avrebbe potuto fare di più per sostenere una crescita inclusiva.

D: Ci siamo uniti troppo presto?

R: Guardando al passato, è evidente che l’Europa, tra la metà degli anni ’90 e la crisi del 2008, ha vissuto un periodo di crescita sostenuta grazie alla creazione della moneta unica e all’espansione dell’UE. Tuttavia, dopo la crisi finanziaria globale del 2008, l’Europa ha iniziato a mostrare segni di debolezza sia dal punto di vista economico che politico. La crisi ha messo in evidenza le fragilità dell’Eurozona e l’incapacità dell’UE di coordinare una risposta politica comune. Anziché rafforzare l’Euro con politiche fiscali unificate e condivise, ogni Paese ha agito in modo indipendente, indebolendo la coesione e la forza dell’Unione. Questo ha portato a una situazione in cui l’Europa è rimasta stagnante e politicamente marginale, incapace di svolgere un ruolo significativo a livello globale. Per il futuro, è fondamentale che l’UE impari da questi errori e sviluppi strategie più coese per affrontare le sfide economiche e politiche.

Bianchi ha espresso il suo punto di vista al 33esimo Forum Economico dell’Europa Centro Orientale (che quest’anno si è tenuto a Karpacz in Polonia) a cui hanno partecipato giorni fa oltre seimila fra economisti, imprenditori ed amministratori.Il fatto che si sia tenuto in Polonia è significativo, dato che in questo momento storico i Paesi dell’Est sono la cartina tornasole della crisi europea.

D: Dato il basso costo del lavoro, questi Paesi sono stati considerati una piattaforma per la produzione industriale di beni a basso valore aggiunto. Questa politica continuerà?

R: Continuare a basare l’economia sul basso costo del lavoro è una strategia rischiosa e insostenibile a lungo termine. Altri Paesi, come il Bangladesh, offrono salari ancora più bassi e possono competere efficacemente in settori a basso valore aggiunto. Tuttavia, Paesi come la Polonia stanno cercando di cambiare strategia, puntando sull’innovazione e sul miglioramento della qualità dei loro prodotti. In particolare, c’è una forte enfasi sulle nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, e sulla digitalizzazione. L’investimento in ricerca e sviluppo, sostenuto anche dai fondi europei, sta diventando sempre più centrale: la Polonia sta cercando di costruire un ecosistema di innovazione che possa competere a livello globale, sviluppando nuove competenze che possano creare posti di lavoro più qualificati.

D: Come vivono i Paesi dell’Est l’attuale situazione geopolitica, con la guerra alle porte?

R: I Paesi dell’Est si trovano a navigare in un contesto geopolitico molto complesso e incerto. Da un lato, c’è la minaccia continua della Russia, che ha generato preoccupazioni sulla sicurezza e sulla stabilità nella regione. Dall’altro lato, c’è l’incertezza riguardo alla stabilità interna dell’Unione Europea stessa: i paesi fondatori dell’UE sono traballanti. La Germania è in crisi economica, la Francia è in difficoltà sul fronte istituzionale, e l’Italia esprime una politica sempre più lontana da quella della Commissione. In questo contesto, i Paesi dell’Est sentono il bisogno di rafforzare le proprie posizioni sia economicamente che politicamente. Tuttavia, sono anche consapevoli che senza una forte coesione e stabilità a livello europeo, sarà difficile affrontare le sfide geopolitiche che si presentano, inclusa la minaccia di conflitti armati nelle vicinanze.

D: Come pensa che evolverà l’economia dei Paesi dell’Est?

R: L’economia dei Paesi dell’Est potrebbe evolversi positivamente se l’Europa si concentrerà su settori strategici come la farmaceutica, tecnologia, la salute, l’elettronica e le applicazioni digitali legate alla qualità della vita. L’Europa ha accumulato conoscenze significative in questi campi grazie a decenni di investimenti nel welfare, nella sanità e nell’istruzione; l’Europa ha investito tre volte gli Usa sul welfare, mentre per l’America è sempre stata essenziale la Difesa. I Paesi Eu devono sfruttare queste competenze per sviluppare prodotti e servizi innovativi da esportare globalmente. Per fare ciò, è necessaria una stretta collaborazione tra università e industria.

Peso della Cina ed Eurozona sul PIL mondiale
2014-2024, % su totale mondo, PIL a prezzi correnti in dollari.
(Fonte: Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Fmi)

D: Come potrebbero le università collaborare meglio con l’industria per raggiungere questo obiettivo?

R: Le università e l’industria dovrebbero lavorare insieme per definire chiaramente i ruoli e le aspettative reciproche. Dovrebbero essere creati programmi congiunti di ricerca e sviluppo che rispondano alle esigenze concrete del mercato. Inoltre, le università dovrebbero rivedere i loro criteri di valutazione, premiando non solo la produzione accademica tradizionale, come gli articoli pubblicati, ma anche l’impatto reale della ricerca sullo sviluppo industriale e tecnologico. Una collaborazione più stretta tra università e industria potrebbe portare a innovazioni più rapide e applicabili, aumentando così la competitività dell’Europa a livello globale.

D: Si parla di una leadership del cambiamento in questi Paesi. Di cosa si tratta?

R: La “leadership del cambiamento” è un tema centrale di discussione nel convegno. Non si tratta di cercare un leader forte che imponga la sua volontà, ma di creare una leadership federale e democratica capace di guidare l’Europa verso il cambiamento necessario. Questa leadership dovrebbe emergere a vari livelli e dovrebbe essere in grado di affrontare le sfide politiche, economiche e sociali dell’Unione Europea. In un contesto di crisi multiple e conflitti interni, l’Europa ha bisogno di una visione chiara e di una capacità di azione collettiva per superare le difficoltà e costruire un futuro più stabile e prospero.

D: In una nuova collaborazione tra ricerca e industria, emerge il problema della formazione.

R: È fondamentale aumentare gli investimenti in educazione e formazione continua per tutte le età, potenziando le competenze della forza lavoro. L’industria deve riconoscere il valore del capitale umano e investire di conseguenza, mentre la ricerca deve orientarsi verso progetti di grande scala che possano avere un impatto significativo sull’economia e sulla società. Solo attraverso un’azione concertata e coordinata l’Europa potrà affrontare le sfide attuali e future, rafforzando la sua posizione economica e politica nel mondo.














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