Transizione green. Marco Taisch non ha dubbi: serve un po’ di orgoglio industriale europeo

Di Laura Magna ♦︎ «Le finalità ambientali devono diventare compatibili con le esigenze dell’industria. Ed è in atto una presa di coscienza da parte della politica». A sostenerlo il professore di Sistemi industriali al Politecnico di Milano e dirigente del Made4.0. Che considera la transizione ecologica una priorità, ma ritiene necessario cambiare marcia sui tempi e sui modi. Perché investire sulle auto elettriche ci ha resi doppiamente più fragili rispetto alla Cina: serve più gradualità

«Le finalità ambientali devono diventare compatibili con le esigenze dell’industria. Ed è in atto, al riguardo, un’importante presa di coscienza, in seno anche alla politica. Si tratta di un approccio di assoluto buonsenso, del quale le nostre economie, quelle di tutta Europa, non potranno che beneficiare», sintetizza così il suo pensiero Marco Taisch, professore di Sistemi industriali al Politecnico di Milano e uno dei massimi esperti italiani sui temi della manifattura e del 4.0 (dirige anche Made, il competence center milanese), che ci ha concesso un’intervista sul nuovo corso della sostenibilità. Una sostenibilità che lo diventa a tutto tondo, con un occhio all’ambiente e uno ai bilanci e alla solidità delle aziende che sono l’ossatura dell’economia europea.

La transizione green – che resta prioritaria ed è un processo irreversibile – potrebbe cambiare marcia e modalità di attuazione, grazie all’adozione di un approccio più flessibile e meno vincolante. È quanto emerge dalle campagne elettorali in corso in 64 paesi più l’UE, che nel corso dei prossimi mesi andranno al voto. Le prossime elezioni e quelle che ci riguardano più da vicino sono appunto quelle per il rinnovo del parlamento europeo che si terrano l’8 e il 9 giugno, dalle quali dovrebbe emergere fin da subito, quale che sia l’esito, un’idea di politica industriale forte.







D: Allora, professor Taisch, i prossimi mesi vedranno l’avvicendarsi al voto di 64 paesi oltre all’UE, con oltre 3 miliardi di elettori. Paesi che hanno in mano i destini del mondo sia occidentale sia emergente: India, Russia, Pakistan, Indonesia, Messico e Stati Uniti. E gli indizi di un cambiamento di velocità e di portata della transizione green ci sono da diverse parti: l’emblema è la politica di transizione all’elettrico dell’automotive.

Marco Taisch, full professor al Politecnico di Milano e presidente Made

R: Guardiamo all’Europa: che non è più focalizzata sulla transizione all’elettrico e sulla sostituzione di tutto il parco macchine con l’eliminazione del motore endotermico al 2035 in favore di quello elettrico, ma sta da un lato virando verso un approccio neutrale sul fronte della tecnologia, per cui apre all’idrogeno e alla cattura della CO2, per esempio, come strumenti per abbattere le emissioni. Inoltre, mentre restano saldi gli obiettivi in termini di riduzione di emissioni, vengono generalmente spostate in avanti le scadenze.

D: L’esempio dell’automotive, per come è stata finora affrontata la questione in ambito europeo, è emblematico: l’obiettivo di sostituire con auto alimentate a motore elettrico tutte quelle a motore endotermico in circolazione è impossibile da centrare al 2035. E ha fatto più danni che altro. Perché?

R: Imporre la tecnologia delle batterie ci ha reso doppiamente più fragili perché le materie prime sono altrove, in Cina. In più i cinesi hanno sovvenzionato la loro industria automobilistica: e stanno producendo veicoli ultra tecnologici, interamente elettrici, a costi più convenienti. E così stanno erodendo quote di mercato all’Europa: l’automotive anticipa i vari trend e dovremmo guardare con attenzione i dati sulle vendite per immaginare dove ci porterà la direzione che abbiamo preso.

D: I dati dell’automotive europeo in effetti non sono incoraggianti da anni…

La crisi dell’industria automotive tedesca ha avuto ripercussioni anche in Italia, in particolare per i componentisti auto.

R: Di più, la Germania ha smesso di essere locomotiva d’Europa. La sua industria automotive che era trainante per l’economia si è indebolita e questo ha avuto un contraccolpo anche sulla nostra industria della componentistica, legata a quella auto tedesca a doppio filo. Mentre la Cina, che ha la potenza di fuoco dell’innovazione, le terre rare e poca attenzione all’ambiente, ha fatto passi da gigante e ha eroso e continua a erodere quote di mercato al Vecchio Continente.

D: Ma adesso il vento sembra cambiato. Possiamo dire che l’avanzata anti-green sia un bene?

R: Non parlerei di avanzata del fronte anti-green, ma piuttosto di un’ondata industrio-centrico, che ovviamente sarà un bene per le nostre attività produttive. Perché si tradurrà in investimenti sull’innovazione, ricerca, politiche a favore dell’economia reale e quindi anche un po’ di recupero di orgoglio industriale europeo, rispetto agli altri sistemi nazionali che sono aggressivi e corrono.

D: Serve un po’ di sano orgoglio industriale europeo?

R: Serve. Ed è quello che è mancato finora. E forse quello che potrà fare la differenza nel riposizionare l’Europa mentre si disegnano i nuovi equilibri economici mondiali. La stessa globalizzazione, che è stato un sistema di equilibri di forze, tra Stati Uniti, Europa e Cina è in discussione. La fine della globalizzazione è in realtà un riequilibrarsi delle posizioni di forza da parte delle tre grandi aree, mentre arriva un nuovo player che sta cominciando ad alzare la testa e sta investendo in manifattura per diventare la terza economia del mondo. Un dato positivo perché crea un terzo polo che si contrappone al duopolio sino-americano. Ma le cui conseguenze sono ancora difficili da prevedere. Allora l’orgoglio industriale aiuta a trovare un posto nella nuova geografia che si va delineando.

D: Ovviamente, l’attenzione al climate change resta prioritaria e altissima nell’agenda politica e anche in quella dell’industria che ha ogni interesse a raggiungere una totale transizione verso la sostenibilità. Tuttavia deve essere conservata anche la sostenibilità dei conti. Dunque cosa deve cambiare?

Secondo Taisch, la transizione green è un processo irreversibile e prioritario, ma ora serve gradualità per garantire la competitività dell’industria Europea.

R: La transizione green è un processo irreversibile e prioritario, ma ora serve gradualità. La politica ha tentato finora di imporre cambi di direzione troppo repentini. Quello che è sicuramente auspicabile è che si indichi una direzione, senza stabilire tabelle di marcia stringenti e in molti casi impossibili da rispettare per l’industria. Dobbiamo evitare che il sistema Europa perda competitività soprattutto quando ci confrontiamo con India e Cina, che sono stati e continuano a essere disinibiti sul fronte della sostenibilità. E mentre loro avanzano la nostra industria perde terreno. Il tema è che se i paesi giocano con regole diverse, chi ha quelle più restrittive ha la peggio. E in un momento in cui lo sviluppo è già debole, è assolutamente sbagliato aggiungere ulteriori elementi di freno. Lo sviluppo sostenibile deve esserlo anche sul fronte economico e sociale. In ogni caso, l’onda verde non si fermerà anche perché la domanda arriva dal mercato.

D: In altre parole, se la domanda di prodotti verdi arriva dal mercato, le aziende non la ignoreranno, che ci sia o no un obbligo normativo.

R: Esattamente. Il mercato chiede prodotti verdi e questo trend farà il suo corso, perché le imprese sono attente a quelle che sono le dinamiche della domanda. Di più: non possono ignorarle, perché rischierebbero di essere spazzate via dalla concorrenza. Tuttavia, anche in questo ambito la gradualità sarà assolutamente la chiave: il mercato è disposto a pagare per prodotti sostenibili, ma fino a un certo punto. Non è disposto per esempio a sostituire i prodotti attuali con prodotti nuovi a costi esorbitanti e lo abbiamo visto con l’auto.

D: E l’Italia, in questo contesto come si posiziona? Cosa ne sarà della nostra manifattura?

Il nuovo “Piano Transizione 5.0” è stato voluto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. L’attesa per i decreti attuativi ha rallentato la domanda di beni strumentali. Secondo Ucimi, fra gennaio è marzo si è registrato un calo del 18%.

R: Nell’ultimo trimestre, l’attesa vana dei decreti attuativi di Transizione 5.0, che non sono arrivati, ha ulteriormente allentato la domanda di beni strumentali, che secondo Ucimu hanno segnato un calo del 18% tra gennaio e marzo. Se si sovrappongono i fenomeni, alcuni macro, altri più locali, se ne derivano batoste che il mercato sente. Dobbiamo considerare anche che mercati e sistemi industriali si contraggono velocemente, ma per farli necessità di più tempo ed esiste un interspazio di inerzia, in cui l’economia è stagnate, che non può essere sottovalutato. Oggi siamo in questa fase di inerzia, e i tassi che si aspettava si abbassassero, rendono la situazione ancora più complessa: i consumi calano, a partire dal mercato immobiliare e dall’auto. E gli effetti sul resto del mercato sono ancora poco apprezzabili. C’è una linea sottile che separa il crinale dalla ripresa alla recessione. E la politica stavolta può fare la differenza.

(Ripubblicazione dell’articolo del 7 giugno 2024)














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