Migrazione delle macchine virtuali: Amd sfata 5 miti dei team IT

Riceviamo e pubblichiamo integralmente un articolo di Alexander Troshin, Product marketing manager di Amd per Emea, sui miti relativi alla migrazione delle virtual machine

In un panorama in rapida evoluzione come quello attuale, le aziende che desiderano ottenere prestazioni eccezionali dai propri carichi di lavoro e servizi IT devono rinnovare l’infrastruttura dei data center utilizzata per l’esecuzione delle macchine virtuali (MV). 

Con l’aumento dei workload a elevata intensità di dati, cresce anche la pressione sulle performance dell’infrastruttura esistente così come le dimensioni e l’energia necessarie per gestire i data center. Senza dimenticare la necessità di modernizzarli e aumentarne la capacità per sbloccare le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale e dal machine learning.







In questo contesto, un’infrastruttura legacy rallenta i carichi di lavoro moderni, genera un maggiore consumo di energia e una crescente vulnerabilità in termini di sicurezza. In fin dei conti, i server attuali hanno mediamente un’età compresa tra i 3 e i 5 anni.  

Non accontentarsi della sufficienza

Nonostante il lungo elenco di buone ragioni – e i conseguenti relativi vantaggi in termini di prestazioni – per rimodernare le infrastrutture, i cio sono molto restii alla migrazione delle macchine virtuali. Questa esitazione e il desiderio di evitare problemi possono indurre i reparti IT ad accontentarsi di un livello di qualità sufficiente. 

Evidenziando i benefici e il valore della migrazione delle macchine virtuali e sfatandone i preconcetti, le aziende possono realizzare data center più efficienti, operazione ormai necessaria per restare al passo con le richieste di calcolo e il panorama tecnologico attuali.

Mito: le migrazioni ‘eseguite a freddo’ richiedono un riavvio e non sono disponibili soluzioni alternative che evitino i tempi di inattività dell’applicazione

Realtà: il riavvio dei sistemi è una parte inevitabile della migrazione delle macchine virtuali da un’architettura hardware a un’altra. È anche vero che i reboot sono una pratica standard quando si installano sistemi operativi, applicazioni e patch di sicurezza.  

La migrazione non deve essere vista in modo diverso da una patch di routine in cui le organizzazioni si avvalgono di ambienti applicativi costruiti appositamente per la loro ridondanza. Queste configurazioni garantiscono la disponibilità delle applicazioni durante la manutenzione ordinaria e gli aggiornamenti critici. 

In definitiva, i team IT possono stare tranquilli perché esiste un flusso di lavoro consolidato che i professionisti del settore utilizzano da anni e che può essere impiegato per la migrazione delle macchine virtuali: spegnere i sistemi, eseguire operazioni e aggiornamenti, accendere i sistemi e verificarne il completamento e il corretto funzionamento.

Mito: le migrazioni in tempo reale tra prodotti di uno stesso vendor garantiscono aggiornamenti facili e l’accesso ai nuovi processori 

Realtà: è possibile effettuare una migrazione live senza cambiare fornitore, ma è necessario considerarne i costi che possono rappresentare un limite a breve e a lungo termine. 

Ad esempio, quando si esegue la migrazione in tempo reale su nuovi server, le macchine virtuali non hanno altra scelta che emulare il vecchio hardware sui nuovi dispositivi. In questo modo si perdono nuove istruzioni che potrebbero migliorare le prestazioni, funzioni di sicurezza aggiornate e correzioni dei bug, ossia tutti i motivi principali per cui si sceglie di migrare e modernizzare l’infrastruttura.  

Dal momento che le performance vengono compromesse quando macchine virtuali, applicazioni e carichi di lavoro non operano in ambienti in cui sono disponibili tutte le funzioni della nuova CPU, quella che può sembrare una scorciatoia – migrare tra prodotti di uno stesso vendor – probabilmente non lo è.  Soprattutto quando la migrazione ‘a freddo’ di 40 macchine virtuali da sistemi basati su processori Intel Xeon Scalable Processor a server con processori AMD EPYCâ„¢. è avvenuta in meno di 30 minuti nei test condotti da Prowess Consulting.

Mito: la migrazione richiede una lunga inattività che interrompe l’operatività del carico di lavoro

Realtà: non è necessario eseguire una migrazione in un’unica fase. Le configurazioni ad alta disponibilità includono livelli di funzionalità che consentono di migrare diverse sezioni del sistema nel corso del tempo, avvalendosi dello stesso processo utilizzato per l’aggiornamento di altri elementi dell’infrastruttura.  

Dal momento che i team IT hanno il potere di decidere quali livelli devono essere migrati e quando, le aziende possono mantenere il controllo, limitando l’impatto sulle attività degli utenti e dell’organizzazione e causando un’interruzione minima.  

Uno strumento open-source come VMware® Architecture Migration Tool (VAMT) rende questo processo ancora più semplice grazie a funzioni come il Change window support, in cui è possibile stabilire quali macchine migrare per prime e quali successivamente per eseguire l’intera migrazione di un’architettura multi-tier con tempi di inattività praticamente nulli.  

Migrazione efficiente = data center efficienti 

Le aziende si trovano a un punto in cui devono accogliere l’evoluzione dei loro data center per tenere il passo con i requisiti di calcolo di intelligenza artificiale e ML. Per questo motivo è importante sfatare i miti relativi alla migrazione delle macchine virtuali e dimostrare che si tratta di un passo fondamentale nel percorso di modernizzazione dei data center.  

Invece di essere considerata costosa e complicata, questa operazione può essere affrontata con sicurezza, sfruttando flussi di lavoro consolidati e strumenti innovativi.  














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