Intelligenza artificiale: con la quarta rivoluzione industriale perderemo la capacità di coltivare l’ingegno umano?

di Piero Formica* ♦︎ Stiamo scivolando nell’idea che l’Intelligenza umana sia una risorsa sostituibile dall'Ia? Non secondo Erik Larson: l'imprenditore ritiene che ci sia una «discrepanza tra il modo in cui gli esseri umani e le macchine sanno ciò che sanno». Perché l'Ia è estremamente efficace nell'operare in campi ristretti, ma è incapace di generare veri progressi, prerogativa delle intelligenze umane

Si innova esplorando. Percorrendo la via dell’esplorazione si può scoprire un luogo sconosciuto e apparentemente improbabile che si rivela fonte di intuizioni utili per completare il percorso che dalla scoperta porta all’innovazione e termina con l’applicazione.

Si innova conversando. La conversazione è il ‘luogo’ causale dove dibattendo ci si libera dai vecchi schemi e vengono alla luce idee profondamente nuove che si incrociano e si moltiplicano. L’innovazione è uno sport di contatto che porta a dire “io uso la tua idea in un campo diverso dal tuo; puoi fare lo stesso con la mia idea”. Avviene anche che si prenda conoscenza di tecnologie in assenza delle quali l’innovazione non potrebbe tagliare il traguardo. Si innova condividendo. Le idee nuove si condividono mescolandole, fondendole o, ancora, inserendole in cose esistenti. Le combinazioni abbattono l’ostacolo dell’innovazione solitaria e incompleta che ne allunga la gestazione o mai permette di raggiungere il traguardo dell’applicazione.







Una vasta gamma di situazioni, anche in conflitto tra loro, si presenta al di fuori della zona di comfort.

La ricerca Blue-skies fa la differenza

«La creazione di un percorso che porta alla nascita e allo sviluppo di start-up basate sulla scienza è l’effetto secondario delle scoperte e delle invenzioni derivate dalla ricerca blue-skies, ricerca fondamentale, non applicata e vicina al mercato». Così ha sostenuto nel suo discorso chiave alla conferenza del 10° anniversario della Leru (The League of European Research Universities) a Barcellona il 10 maggio 2012 Sir Leszek Krzysztof Borysiewicz, che è stato il 345° vice-cancelliere dell’Università di Cambridge nel Regno Unito.

La conoscenza si estende, si unifica e pone nuovi interrogativi

Alan Barrell, fondatore del Cambridge Learning Gateway

La conoscenza non viene solo trasferita, ma viene anche estesa e unificata per poi essere dai completatori applicata nei processi di innovazione imprenditoriale. Come suggerisce lo scienziato e imprenditore inglese Alan Barrell, fondatore del Cambridge Learning Gateway, immaginazione, connessione e incrocio di persone diverse, i talenti transdisciplinari che sono combinatorialisti, estendono e unificano l’indagine intellettuale, così creando le correnti che determinano il futuro.

La produzione collettiva dei combinatorialisti dà luogo a una comunità creativa. Al centro della sua scena stanno molte scoperte che avvengono perché nello stesso spazio stanno accadendo molte cose contemporaneamente. La genialità della comunità (“scenialità”, potremmo definirla) è più importante dell’estro del singolo genio. Si sostiene che qualcosa di simile si è verificato nel caso dello sviluppo di diversi vaccini contro la pandemia da Covid-19.

Più cresce la conoscenza, più si espande il litorale dove conoscenza e ignoranza si incontrano. Più si sa, più ci si interroga, dice Michael Smithson, professore emerito presso la Scuola di ricerca in psicologia dell’Australian National University. Lungo quel litorale si incontrano individui non conformisti e solitari, scopritori e innovatori rivoluzionari, estranei alla comunità dei combinatorialisti. Tra costoro, sono stati annoverati Thomas Edison (1847-1931), Marie Curie (1867-1934), Nikola Tesla (1856-1943) and Elon Musk.

Scienza e imprenditorialità scientifica si incontrano

Secondo Erik Larson, «c’è una discrepanza tra il modo in cui gli esseri umani e le macchine sanno ciò che sanno»

Si va dalle macchine a vapore nel 18mo secolo (prima rivoluzione industriale) a quelle alimentate dall’energia elettrica nei secoli 19mo e 20mo (Seconda Rivoluzione Industriale); dalle macchine a controllo numerico e dai robot industriali negli anni maturi del 20mo secolo (terza rivoluzione industriale) alle macchine dell’Intelligenza Artificiale (quarta rivoluzione industriale). Nel corso di queste rivoluzioni si è passati dalle macchine che hanno ridotto o cancellato la fatica fisica a quelle che dovrebbero alleviare l’affaticamento intellettuale. Stiamo forse scivolando nell’idea, se non nella certezza, che l’Intelligenza umana (Iu) sia una risorsa sostituibile dalle super macchine dell’Intelligenza artificiale (Ia)? L’imprenditorialità suscitata dagli scienziati dell’Ia ci farà cadere nella trappola della cosiddetta “passività appresa”, con la produzione di macchine super-intelligenti che risolveranno i problemi al posto nostro mentre noi indeboliamo o perfino perdiamo la capacità di coltivare l’ingegno umano? Dalla più impegnata e avanzata imprenditoria dell’Ia ci giungono parole che sciolgono quei dubbi a nostro favore.

Erik Larson, imprenditore tecnologico e ricercatore all’avanguardia nell’elaborazione del linguaggio naturale, sostiene che la mente umana non si scontrerà con la macchina che eguaglierebbe la nostra intelligenza giacché «c’è una discrepanza tra il modo in cui gli esseri umani e le macchine sanno ciò che sanno». Una cosa è l’Ia che opera in campi e con compiti ristretti, un’altra l’intelligenza umana capace di veri e propri progressi. Una cosa è che l’intelligenza artificiale operi in campi e compiti limitati e un’altra è che l’intelligenza umana sia abile nel fare un salto in avanti. Se gli esseri umani progrediscono trasmettendo ciò che hanno imparato da una generazione all’altra, compiono delle vere e proprie svolte rivoluzionarie disimparando.

“Più sai, più puoi sapere” porta a miglioramenti accelerati. Il disimparare può tradursi in cambiamenti sostanziali. Il processo di disapprendimento è una questione scottante, di vitale interesse, per il futuro dell’Ia. Per progettare il suo futuro ci vogliono i “pensatori delle cattedrali”. Costoro guardavano lontano e compivano scelte lungimiranti fondendo, per esempio, scienza, arte e design. Basta volgere lo sguardo alla rivoluzionaria impresa scientifica di Filippo Brunelleschi (1377-1446) cui si deve la cupola del Duomo di Firenze. Brunelleschi si formò come orafo e scultore in una bottega di Firenze, iniziando il suo apprendistato nel 1392. Un’importante influenza su di lui in questo periodo fu Paolo dal Pozzo Toscanelli, mercante e medico. Ai tempi nostri, in Nord America alla frontiera della ricerca sull’Ia si trova l’industria che attrae un gran numero (il 60% rispetto al 24% in ambito accademico) di giovani dottorati in Ia. Ciò che si riscontra nel grande continente nordamericano non è un’eccezione. La vivacità della nuova imprenditorialità nello sviluppo dell’intelligenza artificiale vede in prima linea presenti piccoli paesi per dimensione quali Israele, Singapore e Islanda.

In questo scenario l’Italia si trova in posizioni arretrate come mostra la figura seguente tratta dall’Artificial Intelligence Index Report 2021.

Nell’ambito dell’Ia l’Italia è ancora molto indietro rispetto ad altre nazioni, sia per il numero di pubblicazioni sul tema, sia per le competenze

L’inestricabile connessione tra scienza e tecnologia

La tecnologia auto-organizzandosi progetta ambienti che poi la scienza esplorerà. Come organismo autonomo, soprannominato technium dallo scrittore scientifico Kevin Kelly, la tecnologia accelera gli sviluppi scientifici che sboccheranno in nuova imprenditorialità.

Tra il XV e il XVII secolo, un’epoca di grandi esplorazioni geografiche, gli sviluppi delle tecnologie e delle tecniche di navigazione permisero le spedizioni marittime alla scoperta di nuove terre che innescarono il processo speculativo degli scienziati tradottosi in importanti progressi nei campi scientifici dell’astronomia e della cartografia.

Il motore a vapore è precedente alla termodinamica. Infatti, le sue applicazioni pratiche e industriali hanno indirizzato lo sviluppo del pensiero scientifico sfociato nella termodinamica a metà del XIX secolo. Non è detto che il progresso corra sempre lungo un sentiero diritto che parte da una teoria scientifica, attraversa la tecnologia e poi l’innovazione per finire al traguardo dell’imprenditorialità. Nel caso della termodinamica, l’industria ha tracciato la strada alla scienza della fisica dell’energia.

La tecnologia informatica ha aperto la porta alla scienza che prende il nome di computer science. A sua volta – sostiene l’informatico Danny Hillis – «Il computer, con il suo gioco meccanicistico di regole predeterminate, è il discendente diretto dell’orologio»: cioè, «gli ingranaggi dell’orologio che ha fatto girare la scienza, e tutti i suoi numerosi discendenti culturali».

Il Large Hadron Collider installato al Cern di Ginevra

La tecnologia che ha portato alla costruzione dell’acceleratore di particelle – il Large Hadron Collider – al Cern di Ginevra ha generato progressi significativi nella fisica, permettendo ai fisici di scoprire, tra il 2011 e il 2013, la particella immaginata dal premio Nobel Peter Higgs (il “bosone di Higgs”). D’altra parte, la stessa tecnologia che ha portato a una scoperta scientifica dipende dai precedenti progressi della fisica. Questo punto di vista fornisce il grano al mulino di coloro che sostengono che la scienza e la tecnologia vanno di pari passo.

La lezione da trarre è il cambiamento di prospettiva per innescare processi trasformativi dell’imprenditorialità. La produzione scientifica è levatrice di imprenditorialità scientifica. L’una e l’altra offrono all’umanità la capacità di affrontare i cambiamenti nel “sistema Terra” dovuti all’attività umana e di aprire le porte all’epoca in cui gli esseri umani e l’intelligenza artificiale insieme aiuteranno la Terra a sopravvivere. L’abbraccio tra scienza e imprenditorialità è, dunque, la risposta alle sfide poste dall’Antropocene e dal Novacene, così come le hanno esposte, rispettivamente, Paul Crutzen (1933-2021) ed Eugene Stoermer (1934-2012) – l’uno Premio Nobel per la chimica nel 1995 e biologo l’altro – e James Lovelock (1919-2022), pioniere dell’ambientalismo.

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale.














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