Intelligenza artificiale generativa: come si stanno muovendo le aziende? I casi Sap, Deloitte, a2a, Fincantieri e Rina

di Laura Magna ♦︎ L'IA potrà avere tre diversi livelli di impatto: genererà nuove professioni, cancellerà alcune professioni, integrerà e potenzierà professioni esistenti. Secondo McKinsey, il 73% delle attività umane saranno automatizzate. Si creeranno 98 milioni di nuovi lavori, a fronte di 75 milioni che saranno perduti. Per Luca Manuelli dell'Osservatorio IA di Unimarconi, la GenAI può far crescere del 7% il pil globale, ma bisogna padroneggiare questa nuova tecnologia. Come formare le persone? Tre le leve: diffusione di conoscenza e consapevolezza, politiche industriali di incentivazione e rafforzamento della formazione di competenze interne. Flavio Tonelli, UniGE: «serve un cambio di paradigma». I casi Rina, Sap, Deloitte, a2a e Fincantieri. Se ne è parlato a margine di un convegno organizzato da Unimarconi

Fatta l’IA generativa, si devono fare i professionisti che la governino. Sarà questo il caposaldo della prossima rivoluzione industriale, la più dirompente mai sperimentata: formare le competenze in grado di sfruttarla al massimo. E scuola e università devono fare uno sforzo enorme, attuare un cambio di paradigma e costruire ponti solidi verso le fabbriche, perché tutto ciò sia possibile. Alcune aziende stanno sperimentando in maniera massiccia – è il caso di Sap, Deloitte, a2a, Fincantieri e Rina – per farsi trovare pronte al grande cambiamento. Ma ovviamente la strada da fare è ancora lunga.

«Ci saranno 98 milioni di nuovi posti di lavoro creati dall’IA a fronte di 75 milioni persi, senza effetto sostituzione. McKinsey stima che il 73% delle attività umane saranno automatizzate. Sono numeri con i quali dobbiamo confrontarci». Così dice Luca Manuelli, direttore dell’Osservatorio di Intelligenza Artificiale Generativa promosso dall’Università degli Studi Guglielmo Marconi. «Servono politiche pubbliche a favore delle aziende ma prima ancora è necessario adattare l’istruzione scolastica e universitaria alle nuove sfide, formando i docenti all’IA e facendo convergere materie umanistiche e Stem. E bisogna fare didattica con l’IA generativa», aggiunge Stefano da Empoli, presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com) e coordinatore del documento strategico “Formare il futuro” realizzato dall’Osservatorio.







Dalle aule alle fabbriche, «l’IA deve diventare un abilitatore della crescita dell’industria – afferma Marco Nocivelli, vicepresidente Confindustria con delega alle Politiche Industriali e al Made in Italy – Perché sia così bisogna avere consapevolezza e conoscenza dello strumento. Le tecnologie riescono a migliorare le performance umane solo attraverso l’acquisizione di competenze. Sono queste che generano aumento di produttività e quindi sviluppo».  Il documento strategico pubblicato dall’Osservatorio di Unimarconi intitolato “Formare il futuro – Strategie per lo Sviluppo delle Competenze Chiave nell’Intelligenza Artificiale Generativa“, è stato presentato a Roma nel corso di un evento a cui Industria Italiana ha partecipato traendo tutti gli interventi riportati in questo articolo. Abbiamo realizzato pertanto una guida, con le istruzioni per l’uso per guidare, a vantaggio dell’industria, il cambiamento generato da Ai e in particolare dalla sua versione generativa.

I numeri di un fenomeno: orientarsi nel mondo che cambia e diventa sempre più influenzato da IA

Una breve introduzione sui numeri aiuta a orientarsi nel fenomeno di cui parliamo. Secondo Statista, le dimensioni del mercato mondiale dell’IA raggiungeranno, in termini di spesa, 305,9 miliardi di dollari nel 2024.

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, il mercato in Italia varrebbe nel 2023 760 milioni, dei quali la componente generativa sarebbe il 5%. (Fonte: Politecnico di Milano)

Il mercato continuerà la sua ascesa per toccare 738,8 miliardi nel 2030, con un tasso di crescita medio annuo del 15,83%. L’IA generativa rappresenta una fetta rilevante del mercato, destinata ad aumentare: nel 2023, stando alle elaborazioni di I-Com sulla base dei dati di Statista, ha coperto il 19% del mercato totale ed entro il 2024 si prevede un aumento dell’incidenza di tre punti percentuali. Nel 2030, l’IA generativa dovrebbe pesare sull’intero mercato per il 28%. Le previsioni sul mercato italiano non sono univoche. Anitec-Assinform nell’ultimo rapporto sul digitale in Italia, stima un volume per il 2023 di 570 milioni di euro, con una crescita tra il 2023 e il 2026 del 28,2% all’anno, fino a quota 1,2 miliardi di euro nel 2026. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, il mercato in Italia varrebbe nel 2023 760 milioni, dei quali la componente generativa sarebbe il 5%.

L’IA generativa può far aumentare il pil globale del 7% in dieci anni: ma è necessario sapere come usarlo per aumentare la produttività. Le dimensioni e le caratteristiche delle applicazioni in uso nell’Industria Italiana

Luca Manuelli, direttore dell’Osservatorio su IA di Unimarconi.

«Al momento, il mercato italiano è dominato da applicazioni più tradizionali. Secondo il White Paper di Anitec-Assinform – dice il direttore dell’Osservatorio su IA di Unimarconi Luca Manuelli – tra il 2022 e il 2023 sono cresciute soprattutto le soluzioni di data processing, Natural Language Processing e chatbot. Nell’industria manifatturiera, la soluzione più diffusa è l’Rpa (Robotic process automation), così come nel finance, nella grande distribuzione e nell’energy». Ma il potenziale, soprattutto quello dell’IA generativa, è enorme. Secondo una ricerca di The European House – Ambrosetti e Microsoft, un’adozione pervasiva dell’IA generativa potrebbe produrre 312 miliardi di euro di valore aggiunto annuo. A livello globale, attraverso l’analisi di 63 casi concreti, McKinsey & Company stima il potenziale economico dell’IA generativa tra i 2.600 e i 4.400 miliardi di dollari l’anno, un valore che potrebbe superare quello del Pil del Regno Unito, che ammontava a 3.100 miliardi nel 2021. «Secondo una stima del World Economic Forum, l’IA generativa da sola potrebbe incrementare la crescita della produttività globale di 1,5 punti percentuali all’anno e aumentare il Pil mondiale del 7% su un orizzonte di 10 anni», continua Manuelli.

L’impatto sul mondo del lavoro. Come evitare perdita di valore riducendo le professioni attualmente esistenti alle attività di cui sono composte

Gran parte delle ricerche prevedono che il mercato del lavoro cambierà notevolmente a causa dell’avvento degli strumenti di IA generativa. La capacità di produrre contenuti permette di sconfinare in un’area che si pensava inattaccabile, quella del lavoro creativo. Per avere una visione più profonda delle possibili conseguenze sul mondo dell’occupazione, occorre utilizzare un metodo che consente di capire le tendenze partendo dalle 800 professioni che l’Istat categorizza e censisce in Italia. L’IA potrà avere tre diversi livelli di impatto: genererà nuove professioni, cancellerà alcune professioni, integrerà e potenzierà professioni esistenti. Ogni professione viene esercitata con diverse possibilità di ruolo, e bisogna tornare a scomporre le professioni in attività. Accanto ai tre effetti diretti, ci saranno quelli indiretti, perché l’IA modificherà l’ambiente e l’organizzazione del lavoro.

Stefano da Empoli presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com).

«Alla luce delle considerazioni svolte, è dunque possibile immaginare un impatto diversificato, in cui una quota delle attività viene automatizzata, aumentando o ricevendo un significativo cambiamento di ruolo», aggiunge Stefano da Empoli presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com). Sul fronte dell’Università, continua da Empoli, «abbiamo elaborato una serie di linee guida per i soggetti che poi dovranno abilitare le competenze: con l’IA e per l’IA generativa. Servono politiche pubbliche a favore delle aziende ma prima ancora è necessario attivare tre leve da attivare. Bisogna adattare l’istruzione scolastica e universitaria alle nuove sfide, a scuola i docenti devono essere formati per l’IA, con strumenti che ne consentano un uso consapevole, critico e sicuro; con l’IA, per capire come usare l’IA per la didattica e conoscere le implicazioni etiche e sociali. L’università deve garantire competenze minime per gestire IA e far convergere materie umanistiche e Stem. E bisogna fare didattica con l’IA generativa»

Come far arrivare l’onda potente dell’IA alle pmi italiane

Come si possono aiutare le piccole e medie imprese ad avvicinarsi all’IA generativa in maniera efficace? Le leve da azionare sono tre: diffusione di conoscenza e consapevolezza sulla tecnologia a livello manageriale e strategico, politiche industriali di incentivazione e rafforzamento della formazione di competenze interne in ingresso.

Per prima cosa, è necessario fare attività di divulgazione mirate ai piccoli imprenditori nei distretti industriali. Iniziative che devono essere avviate da associazioni di categoria, enti digitali nazionali ed eventualmente anche università o aziende e centri che presiedono i territori. In secondo luogo, servono politiche pubbliche che intervengano sulla capacità di investimento e innovazione delle piccole e medie imprese. Non si tratta solo di capacità intesa come disponibilità di risorse; il problema è l’avvicinamento multidimensionale all’IA, non considerabile come una tecnologia plug and play. Investire in IA significa infatti iniziare un percorso che parte dal lavoro sui dati presenti in azienda e comporta un procedimento spesso per trial and error, prima di arrivare a un risultato soddisfacente, che è comunque il più delle volte oggetto di miglioramento continuo. Per garantire che gli incentivi alle Pmi per gli investimenti in soluzioni di IA siano efficaci, è essenziale prevedere una fase preliminare di consulenza o valutazione dei progetti. Questo permetterebbe una erogazione dei fondi per confermare che vi sia la scelta tecnologica ottimale per risolvere specifici problemi aziendali e massimizzare l’effetto sulla competitività.

Secondo uno studio di The European House – Ambrosetti e Microsoft, a parità di ore lavorate l’IA può portare un valore aggiunto pari al 18% del Pil. O, in alternativa, liberare 5,7 miliardi di ore

Infine, è fondamentale migliorare la diffusione di competenze in ambito IA nelle aziende e in generale nel mercato del lavoro. Per questo fine, serve agire sulla qualificazione della forza lavoro e sulla formazione di competenze in ingresso nel mercato del lavoro. La formazione di competenze è la pietra angolare su cui far crescere un’industria digitale in grado di trasformare il paese. Per questo motivo, l’Italia ha bisogno di politiche pubbliche che agiscano su tre fronti: formare il sistema universitario e scolastico garantendo una formazione Stem accessibile e inclusiva, digitalizzare il mercato del lavoro sia attraverso il rinnovamento degli schemi di apprendistato e dei dottorati industriali, sia promuovendo la riqualificazione della forza lavoro attuale. In questo contesto, imprese e lavoratori vanno accompagnati non solo per massimizzare le opportunità, ma anche per mitigare i rischi in ambito sicurezza, protezione dei dati e vulnerabilità generate dall’utilizzo dei sistemi IA. Inoltre, bisogna sviluppare un’economia digitale promuovendo l’imprenditorialità e la creazione di network collaborativi di filiera, così come una rete dell’offerta formativa coinvolgendo pubblico e privato, facendo leva su quanto già esistente, come il network di Digital Innovation Hub di Confindustria e i Competence Center.

Anche per quanto riguarda la formazione della forza lavoro in ingresso, una possibile soluzione all’attuale mismatch potrebbe passare da un maggior coinvolgimento di attori del mondo industriale nella definizione dei piani di studio e nell’erogazione dei corsi. Una prospettiva che al momento è prevista solo per le ITS Academy, in seguito alla recente riforma di questo importante strumento che nel nostro paese deve ancora raggiungere una scala adeguata.

Prima direttrice strategica – Adattare l’istruzione scolastica e universitaria alle nuove sfide

Paola Frassinetti, sottosegretario al Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Il sottosegretario al Ministero dell’Istruzione e del Merito Paola Frassinetti ha sottolineato come la scuola debba colmare la propria arretratezza: «sono state fatte delle cose, per esempio dipartimenti ad hoc nel ministero e ci sono diverse iniziative su quello che è lo snodo di tutto il ragionamento, ovvero la formazione dei docenti. Ma non basta ancora. Se i docenti non sono formati, molto difficilmente studenti e studentesse da soli riusciranno a ricevere le giuste competenze. Vogliamo iniziare già dalle scuole primarie, per avere un approccio a tutto tondo al mondo informatico e tecnologico, se si arriva alla secondaria senza idea dell’accelerazione a cui andiamo incontro siamo già spiazzati. Anche i fondi del Pnrr sono stati utilizzati su questo, abbiamo l’obiettivo di omogeneizzare l’avanzamento della preparazione degli studenti e delle studentesse. Abbiamo eccellenze in alcuni poli che hanno fatto un passo in avanti e altri dove c’è arretratezza. Deve esserci uniformità».

«Già negli anni Quaranta Schumpeter notò che dove c’è innovazione c’è la necessità di abbattere le differenze per riuscire a far sì che funzioni – così Ezia Palmeri (dirigente ufficio innovazione didattica e digitale del Mim)Ridurre le distanze è la chiave. Lavoro su innovazione digitale dal 2015 grazie al piano nazionale scuola digitale e abbiamo osservato che il problema della disuguaglianza è forte ed è vero, per questo stiamo operando affinché la povertà digitale ed educativa non crei ostacoli».

Le competenze nuove dentro un sistema della formazione che deve cambiare paradigma. Il punto di vista delle università telematiche e tradizionali

Secondo Marco Abate (rettore di Unimarconi), «bisogna rendere molto chiaro che le risposte dell’AI non sono oracoli, non sono necessariamente corrette».

Come si sta muovendo l’università. «Serve creare una consapevolezza a livello diffuso, mentre le grandi aziende hanno strutture di formazione interna così non è per le Pmi: le università devono avere una collaborazione stretta con il tessuto produttivo per fornire alle aziende ciò che serve per utilizzare IA – dice Marco Abate (Rettore di Unimarconi) – le aziende hanno necessità di sapere come utilizzare l’IA, cosa possono farne e cosa non si può fare con questa tecnologia. I rischi sono evidenti: il primo è che bisogna rendere molto chiaro che le risposte dell’AI non sono oracoli, non sono necessariamente corrette. L’IA viene influenzata da bias e pregiudizi perché i dati non sono asettici (basti pensare a come sono diverse, per esempio, le storie in base a chi le racconta)». Come si possono usare questi strumenti all’interno dell’università? «Bisogna tener presente sempre che l’apprendimento deve essere un processo attivo e non passivo da parte dello studente. Per apprendere bisogna interagire con la materia. Gli strumenti dell’AI possono essere utili per creare percorsi su misura del singolo studente e dell’interazione che esso ha con la materia. AI può essere usata per aiutare gli studenti a migliorare le loro capacità di apprendimento, per dirla con altre parole». Ma l’Università, quella tradizionale soprattutto, rappresentata nel corso dell’evento romano da Flavio Tonelli (professore ordinario di UniGE) necessita «di un cambiamento di paradigma perché i cambiamenti che prima erano secolari o almeno decennali, ora avvengono in pochi anni. L’università deve spostare un modello nuovo, che da statico diventa dinamico: e per far sì che si apprenda ora è necessario introdurre elementi diversi come la socializzazione. Gli studenti devono essere coinvolti con strumenti di IA e realtà aumentata e automazione, tenendo sempre l’uomo al centro. L’uomo deve essere il beneficiario ultimo di questa rivoluzione e IA deve fare da assistente, con cobot in grado di semplificare i processi di apprendimento, con generazione di domande, semplificazione e simulazioni: tutto questo sarà la formazione del futuro»

Seconda direttrice strategica: l’applicazione all’industria

Marco Bentivogli, esperto di innovazione nel mondo del lavoro e moderatore della sessione relativa alla seconda direttrice strategica, ha messo a fuoco i diversi scenari di impatto dello sviluppo ed applicazione nell’industria di questa wave tecnologica.

Dalle aule alle fabbriche, «l’IA deve diventare un abilitatore della crescita dell’industria – afferma Marco Nocivelli, vicepresidente di Confindustria con delega alle Politiche Industriali e al Made in Italy – Perché sia così bisogna avere consapevolezza e conoscenza dello strumento. In più, siamo un paese esportatore, il 40% del nostro pil viene da lì: il campo di gioco è il mondo, se vogliamo restare competitivi dobbiamo partecipare a tutte le partite globali. Bisogna agire con misure strutturali; è un progetto ambizioso che richiede tempo e ingenti risorse per essere realizzato». E richiede la partecipazione massiva del pubblico e delle industrie stesse. «Ci sono già alcuni strumenti molto validi: transizione 5.0 permette alle aziende di avere agevolazioni sull’acquisto di oggetti connessi digitalmente – continua Nocivelli – ma anche di avere la formazione perché questi oggetti siano usati adeguatamente. Siamo di fronte a quello che è successo sempre con l’introduzione di qualunque tecnologia dirompente: ognuna riesce a migliorare le performance umane, come quando si è passati dalla carta a Excel. Il foglio Excel richiedeva comunque delle competenze per generare questo aumento di produttività. E ora è lo stesso, solo con un acceleratore molto amplificato».

Per Stefano Greco (responsabile del Competence Center Innovazione e Venture Capital di Cdp), «Il VC e i finanziamenti pubblico-privati sono il pilastro del finanziamento di IA nel mondo».

Il venture capital – e quello di emanazione pubblica in particolare – è l’ulteriore soggetto che può funzionare da abilitatore di tecnologie e relative competenze. «Tra invecchiamento della popolazione e una società che cambia, dobbiamo prepararci a un mondo nuovo in cui ci sarà carenza di lavoratori – sostiene Stefano Greco (responsabile del Competence Center Innovazione e Venture Capital di Cdp) – In Giappone si guarda all’IA come strumento per fare assistenza agli anziani e servizi pubblici, rafforzando questo aspetto. Questo inquadramento complessivo ci dice che formazione, infrastrutture e applicazione sono le tre direttrici più importanti. La formazione è chiave e deve funzionare all’interno del sistema pubblico. Rispetto alla prima ondata si ha l’idea che l’IA possa essere più accessibile e democratica. I primi dati ci indicano che negli Usa, mentre sull’informatizzazione le famiglie erano restie, oggi sono quelle più disagiate a spingere perché i figli abbiano le competenze ad hoc. I governi possono fare molto ma serve il VC, ovvero servono investimenti, capitale di rischio che vada a incentivare innovazione rapida e dirompente. Il VC e i finanziamenti pubblico-privati sono il pilastro del finanziamento di IA nel mondo, con un miliardo di euro investiti – In Italia un esempio concreto è il polo strategico nazionale, con Leonardo, Tim e Sogei, siamo aperti a supportare questo tipo di progettualità che costruisca un ponte tra innovazione, università e impresa».

Rina, Sap, Deloitte, a2a e Fincantieri: casi applicativi di IA in azienda

Tra le aziende che hanno elaborato un piano strategico che punta all’orizzonte 2030 per una trasformazione digitale avanzata c’è Rina, specializzata in soluzioni di test, ispezione, certificazione e ingegneria in un’ampia gamma di mercati, tra cui marine, energia e mobilità, real estate e infrastrutture, spazio e difesa. «Abbiamo istituito l’IA Factory, un’unità organizzativa dedicata allo sviluppo di soluzioni basate sull’AI generativa per migliorare i processi interni e i servizi offerti al mercato. L’introduzione dell’IA generativa è vista come un pilastro strategico che consente a Rina di affrontare le sfide future con maggiore agilità e innovazione – dice Giovanni Gambaro, Innovative Solution director di Rina, Tra i progetti principali sviluppati dall’AI Factory ci sono l’ottimizzazione dell’allocazione delle risorse nei progetti, migliorando la produttività e riducendo gli sprechi. L’automazione del processamento dei documenti per estrarre informazioni strutturate, riducendo i tempi di gestione e migliorando l’accuratezza delle informazioni e l’assistente operativo che offre un supporto in tempo reale agli operatori delle macchine industriali, migliorando l’efficienza operativa e riducendo il rischio di errori».

Per Davide Rizzo (head of digital generation & trading and smart di a2a) è necessario legare la GenAI al benessere dei dipendenti.

«Abbiamo dovuto adottare un approccio integrato, ci siamo dati sei mesi di ricerca per capire gli impatti che potevamo avere da questa tecnologia», dice Michele Tornielli (Head of Digital Lab di Fincantieri). «Siamo partiti dalla tecnologia e dalla messa a terra, cosa abbastanza facile. Il difficile è stato la gestione del dato, che è un dato sensibile, militare, delicato, che deve restare sul piano nazionale e non può essere messo a rischio facendolo elaborare da IA globali. Altro tema è il journey digitale: quello che consente a 20mila dipendenti quotidianamente di poter utilizzare questi strumenti in un’azienda dove di fatto battiamo il ferro. Siamo in una multinazionale con attitudini a tecnologie differenti, ogni operaio deve essere portato allo stesso livello, con comunicazione e formazione».

«A gennaio 2021 abbiamo fatto un nuovo piano strategico decennale, per guardare in là – conclude Davide Rizzo (head of digital generation & trading and smart di A2A) – il piano si basa su due pilastri: transizione energetica e circolarità e quello che ci porterà a diventare una data driven company. Dovevamo mettere a terra capacità maggiore di gestire i dati, per ottenere il miglior risultato in qualità di servizi e gestione delle risorse. Siamo al quarto anno di un percorso delicato e abbiamo completato la transizione alla tecnologia cloud in grado di raccogliere, gestire e governare i dati. Collaboriamo con start-up, grazie a cui introduciamo tecnologie diverse per migliorare il servizio e la vita dei nostri clienti che sono i cittadini, per esempio abbiamo realizzato una nuova linea robotica in un centro raccolta rifiuti dove con IA abbiamo migliorato i processi di sorting dei rifiuti, per produrre energia e calore dagli stessi dopo averli selezionati. Stiamo introducendo IA generativa, in diversi filoni: il primo è quello dei dati sintetici che ci aiutano a diventare una società guidata dal dato ma anche sicura. Un altro punto chiave è legare la generative IA al benessere dei dipendenti: stiamo sviluppando un collega virtuale che abbiamo addestrato sui documenti aziendali, ma non basta. dobbiamo istruire i colleghi umani sulla capacità di fare domande che è cruciale per ricevere le risposte giuste dalle IA».

Come spiega Pietro Rusconi, business technology platform, presales manager di Sap Italia, l’IA è il pilastro centrale dello sviluppo futuro di Sap.

L’IA è il pilastro centrale dello sviluppo futuro di Sap, come sottolinea Pietro Rusconi, business technology platform, presales manager della branch italiana. «L’azienda non si limita a creare oggetti tecnici, ma sviluppa ecosistemi completi all’interno dei clienti, creando nuovi modelli operativi. Un aspetto fondamentale è la sovranità dei dati, dove la sicurezza e la responsabilità etica verso i clienti sono priorità assolute. SAP garantisce che i dati dei clienti, che rappresentano il cuore dell’azienda, siano sempre protetti e utilizzati in conformità con gli standard europei richiesti dall’AI Act. I principali utilizzi dell’AI in Sap includono oggi soluzioni di supporto decisionale, che consentono di estrarre valore dai dati aziendali e di collocarli in contesti utili. Automazione che consente di eliminare gli errori e le attività ricorrenti, permettendo agli utenti di concentrarsi sui processi principali. E la formazione continua: gli utenti vengono formati sia sugli strumenti che sulle competenze necessarie per utilizzarli efficacemente».

Deloitte applica l’IA a tutto tondo nell’organizzazione, utilizzandola in scenari applicativi concreti nell’industria. «L’IA deve essere integrata nei processi fin dall’onboarding dei nuovi dipendenti e nella loro formazione, permettendo una riflessione continua sulle azioni da compiere per sfruttarla al massimo – Stefano Besana (partner human capital – organization transformation di Deloitte Italia) – Questo approccio di miglioramento continuo ha dato risultati importanti. Per esempio abbiamo notato che in certe applicazioni IA migliora le performance dei dipendenti, con un incremento del 25-30% per i low performer ma genera un abbassamento simile per chi performa su livelli alti. Se profiliamo le competenze della forza lavoro riusciamo a evitare che l’AI diventi una livella. La trasformazione, che dobbiamo guidare, richiede un impegno eco-sistemico che coinvolge imprese, governi, istituzioni ed enti formativi. Solo un approccio sostenibile e concreto, infatti, ci permetterà di massimizzare i benefici dell’IA, limitandone evidenti rischi e inevitabili impatti negativi”.

L’approccio di Deloitte mira alla definizione di modelli educativi adatti: «bisogna preparare i dipendenti all’utilizzo dello strumento IA, prima di che alle sue applicazioni specifiche. Insomma, in questa prima fase quello che suggeriamo è concentrandosi su Media Education ed Education Technology, adottando prassi formative che educhino all’uso del mezzo, prima che con il mezzo».














Articolo precedenteCegeka amplia la gamma di servizi avanzati in Italia con soluzioni di sicurezza informatica, cloud ibrido e digital workplace
Articolo successivoFondazione Ergo: Caragnano, Caroni, Cencetti, Chiarle, De Guida, Guerrieri, Hartwig, Kagan, Piccioni e Vallone entrano nel cda






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui