Dai motociclisti agli operai: la tecnologia industriale di D-Air Lab (Dainese) protegge tutti. Anche gli astronauti!

di Laura Magna ♦︎ Lino Dainese ha ceduto la nota azienda di abbigliamento e Dpi per motociclisti nel 2016, mantenendone una piccola quota. Ma la sua attenzione è tutta sulla start-up D-Air Lab, che realizza dispositivi di sicurezza per lavoratori e non solo. WorkAir: giubbotto con airbag incorporato per la sicurezza dei lavoratori in quota. Le tute termiche per chi lavora in Antartide. FutureAge, la cintura intelligente per persone con difficoltà motorie. L'acquisizione di Agv. Prossimo passo: "vestire" gli astronauti in rotta verso Marte

Dainese ha realizzato i primi prototipi di Biosuit, ideata da Dava Newman, docente del Mit di Boston e Deputy Administrator della Nasa.

Dalle tute protettive per la MotoGP ai Dpi certificati e industrializzati che salvano la vita ai lavoratori della manifattura, dell’edilizia, della logistica, ovunque vi siano attività in quota – ovvero sopra i due metri di altezza dal suolo. È la parabola di Lino Dainese, imprenditore vicentino che all’alba dei 70 anni, nel 2016, ha fondato D-Air Lab, una start-up dove ha fatto confluire tutto il know how tecnologico e produttivo maturato nei 50 anni precedenti. E che oggi sta rivoluzionando il concetto di protezione nel mondo del lavoro, in diversi settori. Anche, nell’aerospazio: Dainese sta infatti lavorando alla BioSuit, tuta studiate per il primo viaggio umano sul Pianeta Rosso previsto intorno al 2030.

Il background: la storia di un inventore italiano nel boom economico degli anni ’60

Lino Dainese, fondatore di D-AirLab.

Il nome di Dainese è legato a doppio filo a quello della protezione dei campioni della pista – da moto ma anche da sci, più di recente. Protezione che realizza costruendo tute corazzate e dotate di airbag che salvano spalle, schiena, collo e articolazioni diverse. Una storia dunque di manifattura e di innovazione tecnologica spinta. «Vendiamo aria che salva vite», è solito dire Dainese. Nel 2016, un anno dopo aver ceduto la sua azienda storica alla società di investimento Investcorp, con sede nel Barhain, per 630 milioni, questo ragazzo degli anni ’40 si è lanciato in un’avventura nuova di zecca. Come ha sempre fatto nel corso della sua carriera iniziata nel 1968 con un viaggio a Londra. Nel 2022 il gruppo Dainese è passata di nuovo di mano al private equity Carlyle che ha chiesto al suo fondatore di conservare una piccola quota. Ma ora gli sforzi dell’imprenditore ora sono tutti concentrati su D-Air Lab e sui Dpi per gli usi della vita quotidiana, lontano dal mondo dello sport. Industria Italiana ne ha parlato con Vittorio Cafaggi, managing director e con Luigi Ronco, responsabile della R&S e con Alberto Piovesan, giovane art director dello stabilimento.







Proteggere con l’aria i lavoratori in quota (aspirando al Compasso d’Oro)

Il primo dei progetti realizzati da D-Air Lab è WorkAir, un giubbotto che rispetto ai concorrenti, presenta una serie di innovazioni significative. La leggerezza e la portabilità: ha dimensioni minime, simile a quelle di bretelle e si espande quando si attiva l’airbag che è completamente integrato ed è dotato di tecnologie avanzate mutuate dal mondo militare.

 

WorkAir pesa un chilo e ha dimensioni minime, perché deve essere indossato per otto ore al giorno da un operaio in quota e l’operaio non deve considerarlo un fastidio.

«WorkAirè un dispositivo che protegge torace e schiena, il primo al mondo certificato e industrializzato – dice Alberto Piovesan, art director di D-Air Lab – e che è stato pensato per coniugare protezione, accettabilità e innocuità. Il giubbotto pesa un chilo e ha dimensioni minime, perché deve essere indossato per otto ore al giorno da un operaio in quota e l’operaio non deve considerarlo un fastidio. La seconda grande innovazione è che l’airbag è strutturale: non più concepito come una sacca dentro una giacca, ma la stessa giacca che diventa airbag».

Il vero valore aggiunto sta poi nella tecnologia digitale: l’airbag si attiva grazie ai sensori dotati di IA, contenuti in una scatoletta inserita in una tasca interna del giubbotto «Il Dpi è dotato di accelerometro e giroscopio, che percepiscono la velocità del corpo e l’inclinazione e lancia un segnale di apertura al superamento dei parametri indicati – prosegue Piovesan – In sostanza prevede la caduta grazie a un algoritmo addestrato con procedure di machine learning. Il Dpi infine è a basso impatto ambientale perché l’airbag, dopo l’attivazione, può essere ripristinato in laboratorio e dunque il dispositivo riusato».

Ultimo dato: l’estetica curata che è valsa a questo prodotto il Premio per l’Innovazione Adi Design Index, grazie a cui è in corsa per il Compasso d’Oro 2024: riconoscimento singolare per un Dpi.

L’importanza di proteggere i lavoratori in quota per le aziende manifatturiere e delle costruzioni

Alberto Piovesan, art director di D-Air Lab.

Perché l’utilizzo dei Dpi è critico negli ambienti produttivi? La risposta è nei numeri: nei primi tre mesi del 2024 Inail ha registrato 145mila denunce di infortunio sul lavoro (+0,4% rispetto a marzo 2023), 191 delle quali con esito mortale (-2,6%). Gli infortuni denunciati nel 2023 sono stati 585.356, e circa mille i morti, una frazione importante dei 3 milioni che avvengono in Europa https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/hsw_n2_01/default/table?lang=en (sono più di 374 milioni in tutto il mondo https://www.ilo.org/global/topics/safety-and-health-at-work/lang–en/index.htm).

In particolare questo è un spetto critico per le aziende che impiegano lavoratori in quota, – l’attività che si svolge a più di 2 metri di altezza da un piano stabile definita dall’articolo 107 del Testo Unico sulla salute e sicurezza (D.lgs 81/08). Solo in Italia questo genere di attività causa 24mila incidenti ogni anno di cui alcune decine con esiti mortali. I rischi del lavoro in quota sono evidenti: la caduta dall’alto, la sindrome da sospensione inerte (se un lavoratore imbracato cade dall’alto, rimanendo appeso e sospeso, senza la possibilità di muoversi), l’effetto pendolo, determinato dalle oscillazioni della fune a cui è imbragato e da urti violenti contro pareti o altri oggetti. Il 30% degli incidenti mortali dipende da cadute e 1/3 di quelli mortali avviene in assenza di Dpi.

E questo nonostante il testo unico sulla sicurezza stabilisca l’obbligo del datore di lavoro e disciplini l’uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (Dpi) di III categoria (elmetti, imbracature anticaduta e altri dispositivi che mitigano gli effetti dell’impatto su superfici dure), strumenti essenziali per proteggere i lavoratori in quota (e non solo). Sembra estremamente facile, ma in realtà l’introduzione o la sostituzione di un Dpi è sempre un processo delicato e impegnativo per l’azienda, che inizia ben prima dell’acquisto dei nuovi Dpi con test sul campo che consentano di valutare la qualità e l’usabilità del Dpi scelto e prosegue dopo, con la formazione sul corretto uso del dispositivo.

Arriva la Patente a Punti per la sicurezza nei cantieri edili e i Dpi diventano imprescindibili

Forse qualcosa cambierà con la Patente a Punti, che sarà introdotta ufficialmente dal primo ottobre nei cantieri, grazie al Decreto Pnrr (19/24) che dal 2 maggio è legge. Si tratta di un Sistema di Qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi nei cantieri edili. Il nuovo strumento è stato introdotto con la sostituzione dell’articolo 27 del Dlgs 81/2008, il testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Rilasciata dall’Ispettorato nazionale del lavoro e con un punteggio iniziale di trenta crediti, decurtati in caso di violazioni alle norme di sicurezza, potrà lavorare solo chi ha almeno 15 crediti. Il lavoro irregolare causa la perdita di 5 crediti. Ma se il datore viene riconosciuto come responsabile di un infortunio sul luogo di lavoro da cui sia derivata la morte di un lavoratore, la patente viene decurtata di 20 crediti; un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale vale 15 crediti; un’inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più di quaranta giorni ne vale 10. Nei casi di infortuni da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, l’Ispettorato nazionale del lavoro può sospendere, in via cautelativa, la patente fino a un massimo di dodici mesi. I crediti decurtati possono essere reintegrati in seguito alla frequenza di corsi di formazione in materia di sicurezza (ognuno vale 5 punti fino a un massimo di 15).

Altre applicazioni dell’airbag di Dainese: resistenza a temperature estreme e protezione per anziani e persone con difficoltà motorie

Ma il cantiere non è l’unico ambito di applicazione dei nuovi prodotti di Dainese. «Abbiamo applicato il concetto della camera d’aria anche alla protezione da temperatura estreme – dice Luigi Ronco, responsabile della R&S – Abbiamo studiato soluzioni innovative insieme ai ricercatori che lavorano in Antartide a -80 gradi, dove la sudorazione può provocare congelamento.

FutureAge è una cintura intelligente pensata per anziani e persone con difficoltà motorie, che protegge la testa del femore e le anche in caso di caduta, grazie all’attivazione degli airbag laterali.

La protezione avviene in due strati: una sottotuta intelligente con tre reti di sensori che servono a raccogliere i dati corporei, temperatura e battiti, e sulla base dei parametri di sicurezza avviano gli attivatori di calore nelle aree esposte al freddo o, in casi di estremo pericolo, ordinano di rientrare alla base. E la tuta esterna che deve contenere il calore e lo fa grazie a cinque strati: seta, grafene, pelo di cammello e strati antivento con camere di aria». Tra i progetti di D-AirLab ci sono un prodotto di sicurezza per il running e FutureAge, una cintura intelligente pensata per anziani e persone con difficoltà motorie, che protegge la testa del femore e le anche in caso di caduta, grazie all’attivazione degli airbag laterali.

Una start-up con 50 anni di esperienza: come nasce la camera d’aria che protegge il corpo umano

Vittorio Cafaggi, managing director di D-AirLab.

«Tutto il know-how che mettiamo in questi dispositivi deriva da una storia di 50 anni, che è l’età del gruppo Dainese», spiega Vittorio Cafaggi, managing director di D-Air Lab e collaboratore storico di Lino. «A 20 anni Lino fece un viaggio a Londra, in Vespa, con degli amici e vide le maximoto cavalcate da piloti che indossavano le prime tute in pelle. Rientrato in Italia decise di dedicarsi all’ideazione e produzione di protezione per chi va in moto». Nel ’72 disegna il primo pantalone da motocross, su un foglio di carta di giornale e realizza il modello con il tessuto di una tenda; due anni dopo introduce delle novità nel taglio dei capi in pelle, con inserti elastici per migliorarne il comfort. Nel ’79 viene costruita la prima protezione per la schiena, ispirandosi alla natura: il carapace della tartaruga, l’esoscheletro del gambero e dell’armadillo. E negli anni ’80 viene completamente rivoluzionata l’ergonomia delle tute da corsa, sagomate per la prima volta per adattarsi alla posizione in sella, mentre in precedenza erano comode alla persona in piedi. Negli anni ’90 nasce il centro di ricerca tecnologica e Dainese inizia a sperimentare sperimenta in sport diversi, come lo sci. Nel ’99 la tuta T-Age è la prima (e unica) tuta in pelle a vincere il Compasso d’Oro Adi, uno dei più ambiti riconoscimenti internazionali del design. Il prototipo del D-air, l’airbag per i motociclisti sviluppato insieme alla israeliana Merhav App, è presentato a Monaco di Baviera nel 2000.

«L’airbag che protegge il corpo umano ha caratteristiche tecniche molto diverse da quello montato sulle auto. Perché deve essere ergonomico, montare i sensori sul corpo e soprattutto deve essere dotato di un algoritmo predittivo che consenta l’apertura prima dell’impatto con il suolo», dice Cafaggi. Il primo esperimento è del 1994: Lino si era immerso con un giubbotto gonfiabile Gav e risalito in superficie aveva disegnato sul tovagliolo di un bar sulla spiaggia un airbag per la protezione del corpo umano».

L’airbag che protegge il corpo umano ha caratteristiche tecniche molto diverse da quello montato sulle auto. Perché deve essere ergonomico, montare i sensori sul corpo e soprattutto deve essere dotato di un algoritmo predittivo che consenta l’apertura prima dell’impatto con il suolo.

Ma per realizzarlo dovette guardare fuori dall’Europa: Merhav App aveva una tecnologia militare, la piattaforma inerziale che ora è su tutti i telefoni smartphone e consente di girare l’immagine sullo schermo, che serviva ad attivare l’airbag. «In sostanza un accelerometro e un giroscopio che percepiscono la velocità del corpo e l’inclinazione e si attivano al superamento di certi parametri, prevedendo un impatto al suolo», dice Cafaggi. Il primo test in prova avviene nel 2006 e l’introduzione nelle gare tra il 2010 e il 2011. «L’airbag protegge spalle, clavicola e un po’ la schiena e lo stiamo facendo per le anche. Ma la cosa complessa è fare accettare ai piloti nuove protezioni: dobbiamo sempre fare un compromesso tra protezione e accettabilità. E non solo. L’airbag non deve essere soggetto ad aperture fasulle e se avviene deve essere innocuo. In ogni caso, avendo dimostrato che con questi dispositivi si riducono del 98% le fratture della clavicola nei piloti, dal 2018 è obbligatorio l’airbag in moto e dalla prossima stagione lo diventerà anche su discesa libera e super G».

Protezione integrale, dalla testa ai piedi: l’acquisizione dei caschi Agv e l’innovazione in un settore maturo

Nel 2015 per elevare sempre più il concetto di protezione integrale ha acquisito Agv, nella produzione di caschi. «Ci siamo chiesti come potevamo innovare in un mercato maturo e attraverso lo studio dell’ergonomia e l’analisi della tecnologia abbiamo creato un casco più piccolo, leggero e più ventilato e più protettivo. L’obiettivo è la protezione dalla testa ai piedi, studiamo ogni pezzo e anche le interazioni che ciascuno ha con gli altri, nell’ottica di garantire il massimo comfort e un livello di sicurezza altrettanto importante», dice Cafaggi.

Prossimo obiettivo: accompagnare l’uomo su Marte, in sicurezza

BioSuit è concepita in modo da congiungere questi punti, esercitando una pressione meccanica sul corpo senza però interferire con il movimento degli astronauti.

Ma un solo pianeta da mettere in sicurezza non basta a Dainese. Così, ora punta ad accompagnare l’uomo su Marte. Ma già l’azienda ha realizzato una tuta altamente tecnologica che è stata indossata nel corso della missione spaziale Iriss del Settembre 2015 l’astronauta danese Andreas Mogensen. Si chiama SkinSuit ed è il risultato della partnership tra la European Space Agency (Esa) e il Dainese Science and Research Center. La tuta, studiata per essere indossata a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, è costruita su misura in maniera millimetrica ed esercita sul corpo degli astronauti, che operano in assenza di gravità, una pressione crescente in direzione testa-piedi simulando il peso normalmente imposto dalla massa corporea sulla Terra.

Dainese, infine, ha realizzato i primi prototipi di Biosuit, ideata da Dava Newman, docente del Mit di Boston e Deputy Administrator della Nasa. Il punto di partenza sono gli studi di Arthur Iberall degli anni ‘40, in base a cui sono stati individuati punti del corpo che, nonostante i movimenti, non si contraggono e non si allungano e che, se collegati attraverso le cosiddette “linee di non estensione”, consentono alla pressione dell’organismo di rimanere costante. BioSuit è concepita in modo da congiungere questi punti, esercitando una pressione meccanica sul corpo senza però interferire con il movimento degli astronauti. In altri termini, la pressurizzazione pneumatica – che renderebbe la tuta ingombrante e rigida, aumentando lo sforzo dell’astronauta per muoversi – si sostituisce con una pressurizzazione di tipo meccanico. Innovazione senza limiti e senza confini.














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