Non chiamateli uffici: sono spazi di collaborazione. La vision di Cisco sul lavoro ibrido

di Barbara Weisz ♦︎ Per l'azienda guidata da Chuck Robbins non ci sono dubbi: il lavoro deve essere ibrido, perché dallo smart working non si torna indietro. E il tema del workplace diventerà fondamentale per la produttività. I nuovi uffici di Cisco Italia in piazza Gae Aulenti a Milano concretizzano questa visione. Spazi di lavoro sensorizzati, smart e sostenibili. La tecnologia PoE per ridurre i cablaggi e le emissioni. I dispositivi per la collaboration. Le stanze insonorizzate per i meeting. E sul ruolo dell'IA...

Le postazioni, contrariamente a quanto avviene spesso nelle aziende che praticano lo smart working, non si prenotano. Chi arriva può vedere sullo schermo quali sono libere o occupate, e posizionarsi di conseguenza.

Un ufficio nativo digitale, dove la tecnologia non resta chiusa nei device ma è integrata in tutti gli ambienti: sensori sulle pareti, telecamere per rendere immersive le riunioni da remoto, soffitti fonoassorbenti, lampadine di design che risparmiano energia, domotica, intelligenza artificiale, piani di lavoro smart. Il nuovo quartier generale di Cisco a Milano, sottolinea il ceo Italia Gianmatteo Manghi, «rappresenta un esempio concreto del futuro del lavoro». Che è ibrido, perché dallo smart working dopo la pandemia non si torna indietro, ma è fondamentale anche che ci siano momenti in presenza fisica. Ed è abilitato dalle tecnologie sugli smart building, come Cisco Spaces e la suite Meraki, che rendono i luoghi di lavoro immersivi, accoglienti e sostenibili. Il tema dei workplace secondo Cisco è una delle grandi sfide per le aziende che vogliono aumentare la propria competitività. Ed è al centro delle strategie della multinazionale americana guidata da Chuck Robbins insieme alla digital resilience, legata alla sicurezza informatica, e alla realizzazione di data center e cloud ottimizzati per l’intelligenza artificiale. In questo senso muovono l’acquisizione di Splunk, colosso della sicurezza informatica, lo scorso anno, e il più recente accordo con Nvidia che integra con i suoi processori i data center per potenziare le applicazioni IA.

Emblematica la scelta dell’indirizzo della nuova sede milanese, nel cuore dell’innovation discrict, in Piazza Gae Aulenti. Di fronte al grattacielo di Unicredit con la guglia stilizzata in omaggio alla Madonnina, a pochi passi dalle sedi italiane delle altre big tech internazionali. «Non li chiamiamo più uffici, ma spazi di collaborazione» precisa Manghi. «Questa me la rivendo: in Comune non dirò più ci vediamo in ufficio, ma ci vediamo nello spazio di collaborazione», ribatte il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, presente all’inaugurazione. Non è l’unica sede del colosso delle reti nel capoluogo lombardo: ci sono anche l’innovation center del Museo della Scienza e della Tecnica, e i laboratori di ricerca e sviluppo sulla fibra ottica, Cisco Photonics, a Vimercate. Tutti spazi connessi fra loro, come sarà anche il nuovo ufficio di Pisa che verrà inaugurato a breve.







Il modello di lavoro che viene proposto è ibrido, ovvero sia digitale che fisico. La presenza è fondamentale per creare coinvolgimento e senso di appartenenza, lo smart working deve a sua volta riuscire a superare la distanza utilizzando tecnologie immersive e, al contempo, rispettose della privacy. I sistemi video che si trovano in tutti gli ambienti hanno sensori che monitorano l’ingresso delle persone, e sono in grado di sapere sempre quante presenze umane ci sono in un ambiente, che temperatura c’è, quale livello di umidità. Tutti dati che vengono utilizzati per migliorare l’ambiente, anche con tecnologie domotiche che guidate dall’IA eseguono automaticamente azioni, come abbassare le tende se fa troppo caldo, calibrare l’aria condizionata e via dicendo. Ma tutti i dati sono anonimizzati, il sistema sa se una stanza è piena o vuota, non chi c’è all’interno.

All’inaugurazione della nuova sede di Cisco a Milano era presente anche il sindaco della città, Giuseppe Sala.

Al taglio del nastro, insieme all’ad Cisco Italia, Gianmatteo Manghi, e al sindaco di Milano Beppe Sala, don Gino Rigoldi, per mezzo secolo cappellano del carcere minorile cittadino e personaggio simbolo di una Milano tradizionalmente votata all’accoglienza. Un evento istituzionale caratterizzato quindi in modo preciso. Che fra l’altro segna il 30esimo compleanno di Cisco Italia. «Crediamo di aver contribuito all’innovazione nel Paese, ma ora vogliamo guardare avanti, perché l’IA può farci fare un altro salto». Come? «In piena compliance con le regole UE, dal Cloud Act al più recente AI Act, anche attraverso il nostro Framework per l’IA responsabile e la Rome Call for AI Ethics». Il primo è un manifesto che fissa sei principi per uno sviluppo inclusivo dell’IA: trasparenza, correttezza, responsabilità, privacy, sicurezza e affidabilità. Il secondo un’iniziativa vaticana che coinvolge tutte le religioni, e a cui hanno aderito diversi big tecnologici internazionali.

La nuova sede: gli spazi di lavoro sono sensorizzati, smart e sostenibili

Lo sviluppo delle tecnologie umanocentrico è rappresentato plasticamente dalle scelte fatte nel progettare i luoghi di lavoro. «Abbiamo aperto uffici con questi criteri a New York, Atlanta, Parigi e adesso Milano». Nell’headquarter di piazza Gae Aulenti architettura e tecnologia si fondono, i soffitti sono rivestiti di pannelli fonoassorbenti, con luci innovative che grazie al power over ethernet ricevono alimentazione e dati con un unico cavo, sensori, webcam e microfoni per le videoconferenze. I dipendenti quando entrano, oltre a poter ammirare il panorama dalle ampie vetrate, possono consultare un mega schermo dotato di intelligenza artificiale che restituisce tutti i dati della situazione del building. Senza bisogno che qualcuno li inserisca, prendendoli direttamente dai sensori. A cosa serve? Innanzitutto a decidere dove collocarsi per lavorare.

Nell’headquarter di piazza Gae Aulenti architettura e tecnologia si fondono, i soffitti sono rivestiti di pannelli fonoassorbenti, con luci innovative che grazie al power over ethernet ricevono alimentazione e dati con un unico cavo, sensori, webcam e microfoni per le videoconferenze.

Le postazioni, contrariamente a quanto avviene spesso nelle aziende che praticano lo smart working, non si prenotano. Chi arriva può vedere sullo schermo quali sono libere o occupate, e posizionarsi di conseguenza. Lo stesso vale per le sale riunioni. Automaticamente, quando qualcuno entra, la planimetria registra il dato, e segna l’ambiente come occupato (cambiano anche le colorazioni, assicurando un impatto visivo). Si possono anche consultare altri parametri: temperatura, qualità dell’aria, umidità, rumorosità. Alla base di questo smart office ci sono il cloud intelligente di Cisco Spaces e la suite Meraki che gestisce sempre in cloud l’intera infrastruttura. L’intelligenza artificiale abilita funzioni di domotica, per cui senza intervento umano i parametri si autoregolano in base ai dati: se ci sono molte persone in una stanza ci sarà una temperatura più alta, per cui è possibile impostare un’azione conseguente sull’aria condizionata. I dati relativi alle persone sono sempre anonimizzati, le tecnologie non hanno l’obiettivo di controllare il lavoro, ma di rendere intelligente lo spazio.

Cinematic Meetings, esperienza immersiva per chi è in riunione da remoto

Nella sala meeting intitolata a Margherita Hack l’IA è pervasiva. Questo ambiente è pensato per le riunioni da remoto, due webcam restituiscono un’immagine che abbatte le distanze, dando a chi è collegato la sensazione di essere presente. La funzionalità Cinematic Meetings, presente anche sui dispositivi per lo smart working, elimina le distanze, con una regia automatizzata che cambia l’inquadratura riconoscendo postura e direzione della voce. Una tecnologia che da quindi valore anche alla comunicazione non verbale, e riduce la freddezza delle call.

Negli uffici, non ci sono scrivanie ma postazioni: cabine insonorizzate, piani di lavoro mobili e soprattutto alimentate da internet. In pratica, ad essere in rete non è il device, ma il piano di lavoro. I dispositivi di collaboration integrano anche soluzioni dei competitor. Anna Testa, account executive networking e innovation, esemplifica: «immaginiamo una persona che fa videocall tutto il giorno, ha il dispositivo sia in ufficio a casa, ha un meeting Google Meet, uno in Microsoft Team, e un altro in Webex. Il nostro software è in grado di integrare tutti i programmi, quindi nei dispositivi posso accedere con la stessa semplicità e sicurezza a tutte le riunioni». L’infrastruttura di rete contiene un marketplace di soluzioni di terze parti. «Ad esempio – prosegue Testa -, sulle telecamere Meraki abbiamo partner che utilizzano l’IA per analizzare la figura e restituire ai retailer dati aggregati  completamente compliant con la privacy sull’anagrafica nel negozio. Questa è una bella differenza, non devono utilizzare nuovi software di business intelligence, basta l’infrastruttura di rete con un layer software on top. Si può anche monitorare il risparmio energetico utilizzando l’Iot sempre di Meraki».

Le postazioni, contrariamente a quanto avviene spesso nelle aziende che praticano lo smart working, non si prenotano. Chi arriva può vedere sullo schermo quali sono libere o occupate, e posizionarsi di conseguenza.

Il protocollo è il Power over Ethernet, per cui l’energia viene sempre presa dallo switch. Lo spiega bene Luca De Fazio, specialist enterprise network: «i nostri switch sono in grado di fornire non solo dati per andare su Internet, ma anche energia elettrica. Abbiamo prodotti che arrivano fino a 90 watt, quindi sono in grado di alimentare tranquillamente un portatile e un sistema di videoconferenza, luci, videocamere, dispositivi Iot che possono rendere uno spazio più digitale, intelligente e accogliente». E anche sostenibile, il PoE abilita un risparmio energetico intorno al 30% rispetto a un’alimentazione tradizionale. Ci sono poi spazi dedicati al relax e allo svago (c’è il biliardino).

La vision sul lavoro ibrido: crea appartenenza e abilita l’innovazione

Gianmatteo Manghi, ceo di Cisco Italia.

Al centro il benessere del dipendente, un concetto su cui Manghi insiste particolarmente: «l’ufficio deve essere un luogo attrattivo per i dipendenti, anche i più giovani, e per i clienti», a vantaggio di un lavoro «più produttivo, sostenibile, soddisfacente per tutti». Lo smart working, come detto, è una strada ormai intrapresa e che bisogna continuare a percorrere, ma il lavoro in presenza non può essere abbandonato perché crea senso di appartenenza, rapporti di fiducia, e stimola anche l’innovazione. Il manager proporne l’esempio di Thomas Edison, che inventò la filettatura della lampadina guardando un suo collaboratore svitare un oggetto.

La strategia di Cisco, dalle reti all’IA

Tecnologia inclusiva, dunque. A partire dall’IA. «Non dobbiamo esserne spaventati, se riusciamo a gestirla affinché sia collaborativa e migliori competenze e capacità dei professionisti, otteniamo un risultato che va a beneficio delle persone, dell’economia, delle imprese, e della società. In tutti gli ambiti».

Alla convention annuale di Cisco i temi legati alla forte accelerazione tecnologica si sono concentrati in modo importante sull’IA, ma non solo, e soprattutto non limitandosi all’intelligenza artificiale generativa. Quest’ultima è protagonista del boom recente, ha avviato l’era della democratizzazione dell’intelligenza artificiale, accessibile da smartphone e pc. Sta entrando anche nelle aziende, con assistenti virtuali, macchine e robot in grado di interagire in linguaggio naturale, applicazioni che semplificano il rapporto uomo-macchina.

Ma l’IA a livello industriale e in genere per il mondo business viene proposta in molte altre declinazioni: i sistemi di cybersecurity sono in grado di intercettare traffico malevolo utilizzando l’IA senza entrare nel contenuto dell traffico che non può essere ispezionato. Le reti sono sempre più intelligenti grazie alla raccolta dati in ottica predittiva. Queste sono applicazioni dell’IA embedded nelle soluzioni Cisco.

I nuovi spazi di Cisco sono anche una dimostrazione vivente delle ultime frontiere tecnologiche e organizzative dello smart working. Un lavoro che deve essere davvero intelligente ed è abilitato dal tech ma anche da nuovi modelli organizzativi.

Le imprese sono ormai adeguatamente sensibilizzate all’importanza di implementare l’intelligenza artificiale ma non hanno ancora le idee chiare su come farlo. «In base a una ricerca che abbiamo fatto su 8mila aziende nel mondo, anche italiane, il 97% delle aziende ha intenzione di applicare questa tecnologia ai propri processi produttivi, per migliorare efficienza e qualità del prodotto. Ma solo il 14% ritiene di avere già gli strumenti e le strategie adeguate. Non sanno rispondere alle domande fondamentali: a quali processi si possono applicare? In che modo? Per migliorare cosa? Sono ancora poche le organizzazioni aziendali ad avere le risposte corrette a queste domande, e quindi un piano concreto».

Oltre a inserire funzionalità di IA nelle soluzioni software, Cisco si sta concentrando nella creazione di infrastrutture che ottimizzano l’uso dell’intelligenza artificiale. L’accordo con Ndivia va in questo senso, ma vengono anche sviluppati sistemi per il cloud che consentano ai software verticali di IA di funzionare nel migliore dei modi. E sviluppa sistema di cybersecurity per migliorare la resilienza dell’IA.

Questa strategia ha anche un’evoluzione organizzativa. Dopo 15-20 anni Cisco è tornata ad avere un unico responsabile per la ricerca e sviluppo di tutte le business unit, Jeetu Patel. «Un cambiamento che va nella direzione di creare soluzioni basate su piattaforma integrate fra di loro, le reti, il cloud la digital resilience». Il supporto ai clienti per creare valore anche in fase di post vendita è sotto la responsabilità di Liz Centoni, EVP e chief customer experience officer. Infine, l’ex Ceo di Splunk, Gary Steele, è diventato president del go to market a livello mondiale.














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