Industria automobilistica: per sopravvivere alla Cina l’UE deve cambiare rotta. Subito! Con Corrado La Forgia (Federmeccanica) Luca Beltrametti, Anfia, AlixPartners

di Marco De' Francesco ♦︎ Un cambio di rotta e nuove politiche industriali UE. Questa la ricetta per salvare case automobilistiche come Stellantis, Volkswagen, Renault, tutte in difficoltà perché le auto elettriche non si vendono. Bisogna differire gli obiettivi del net zero; investire sulle infrastrutture di ricarica e su R&S. Ma anche ridurre la dipendenza dalla Cina sulle materie prime. Neutralità tecnologica: spazio a e-fuel e fuel cell. E sul ruolo dei componentisti italiani...

Automotive, occorrono una correzione di rotta e una nuova politica industriale europea. Quella attuale, basata sull’astratta definizione di traguardi green, come il divieto di immatricolazione al 2035 per i veicoli con motori a combustione interna alimentati a benzina o diesel, non è realistica. Serve flessibilità. Gli obiettivi Net Zero vanno differiti, e per tanti motivi. Ad esempio, la carenza di infrastrutture adeguate e la limitata disponibilità di energia rinnovabile rendono difficile la transizione verso un parco veicoli completamente elettrico nei tempi previsti; e la scarsa disponibilità di materie prime critiche, controllate principalmente dalla Cina, pone l’Europa in una posizione di dipendenza e vulnerabilità.

Occorre poi adottare neutralità tecnologica: sarebbe una mossa strategica, permettendo di esplorare e sviluppare diverse soluzioni innovative come motori a idrogeno, fuel cell a idrogeno, bio-combustibili e combustibili sintetici. Questo approccio diversificato eliminerebbe il rischio di rimanere intrappolati in un’unica soluzione, offrendo al contempo maggiori opportunità di sviluppo e competitività. Emerge dallo studio “L’automotive verso la sostenibilità ambientale”, realizzato da Corrado La Forgia, vicepresidente Federmeccanica e general manager in Vhit (Italia) di Weifu Group, e dal docente di politica economica all’Università di Genova Luca Beltrametti.







Ma perché occorre far tutto questo nell’automotive? Perché l’Europa arranca, nel settore e nell’elettrico in particolare. Il confronto con la Cina è impietoso. La Cina ha adottato una strategia aggressiva e ben coordinata, investendo massicciamente nello sviluppo di tecnologie per i veicoli elettrici. Questo ha permesso al paese di diventare il leader mondiale, con aziende come Byd che hanno superato colossi come Tesla. Grandi protagonisti cinesi dell’auto green sono anche Wuling, Ayon, Changan, Zeekr, Geely (che peraltro possiede la svedese Volvo), Nio e Leapmotor. Ai carmaker europei non va altrettanto bene. Volkswagen, ad esempio, risente del calo degli ordini che sta colpendo proprio la gamma green, tanto che lo scorso novembre ha dovuto ridurre la produzione a Zwickau. E il nuovo Suv ID. Unix, è diretto al solo mercato cinese. Peraltro Volkswagen aveva portato avanti un progetto di auto elettrica economica con Renault, ma a maggio le due case automobilistiche hanno interrotto i colloqui in materia. Quanto a Mercedes-Benz, i profitti del primo trimestre del 2024 sono diminuiti di oltre il 30%, principalmente a causa dei costi associati alla transizione e della bassa domanda per i veicoli elettrici. Quanto a Stellantis, lo stabilimento di Mirafiori è attualmente fermo: c’è una richiesta di 500e inferiore alle aspettative.

Brembo
Questa è composta da circa 1.100 aziende con un fatturato totale di 82 miliardi di euro nel 2022, di cui 52 miliardi legati al settore automotive e 14 a parti per motori termici. È un’industria importante per il Paese, con punte di diamante come Brembo.

E cosa deve fare, in particolare, la filiera automobilistica italiana? Per La Forgia e Beltrametti deve puntare su creatività e innovazione per distinguersi e crescere nelle nuove catene globali del valore. È importante risolvere le problematiche legate alla crescita delle imprese e migliorare la gestione per collaborare meglio con i grandi player internazionali. Attrarre investimenti cinesi è fondamentale perché consente di accedere a nuove tecnologie e migliorare la competitività. Questi investimenti promuovono la ricerca, creano nuovi posti di lavoro e riducono le emissioni di carbonio grazie alla produzione locale. Collaborare con aziende cinesi eleva le competenze del personale e apre nuove opportunità di mercato.

Non si può fare altrimenti, né attendere che le cose si risolvano da sole. Del resto, da un altro studio, “Piano per la competitività del settore automotive italiano” – curato da Anfia e AlixPartners e presentato da Dario Duse (partner & managing director, Emea co-leader automotive and industrial di AlixPartners) e Fabrizio Mercurio (director automotive and industrial goods team di AlixPartners) – emergono previsioni allarmanti quanto all’impatto dell’elettrificazione sulla filiera dei componentisti auto del Belpaese. Questa è composta da circa 1.100 aziende con un fatturato totale di 82 miliardi di euro nel 2022, di cui 52 miliardi legati al settore automotive e 14 a parti per motori termici. È un’industria importante per il Paese, con punte di diamante come BremboSogefiMarelli (ora italo-giapponese, dopo la fusione con Calsonic Kansei; ed è controllata dal fondo statunitense Kkr), Landi Renzo.

Ecco, la transizione comporterà una riduzione del fatturato della componentistica per motori a combustione interna (Ice) di oltre il 50%, pari a una perdita di circa 7 miliardi di euro. La diminuzione della domanda di componenti Ice avrà un impatto significativo sull’occupazione, con una possibile perdita di posti di lavoro compresa tra 30mila e 50mila, a seconda dell’evoluzione dei volumi produttivi. Lo studio è stato realizzato nel contesto del Tavolo Sviluppo Automotive, un’iniziativa collaborativa che coinvolge vari stakeholder del settore automobilistico, tra cui costruttori (Stellantis), associazioni, aziende della filiera, sindacati, regioni e istituzioni. L’obiettivo principale del Tavolo è analizzare e progettare un piano di intervento per sostenere la transizione del settore automotive, affrontando le sfide attuali e future.

La transizione comporterà una riduzione del fatturato della componentistica per motori a combustione interna (Ice) di oltre il 50%, pari a una perdita di circa 7 miliardi di euro. La diminuzione della domanda di componenti Ice avrà un impatto significativo sull’occupazione, con una possibile perdita di posti di lavoro compresa tra 30mila e 50mila.(Fonte: AlixPartners)

I due studi sono stati presentati giorni fa nella sede della Cuoa Business School di Altavilla Vicentina, nel corso dell’evento “La filiera Italiana dell’Automotive tra transizione e competitività”, incontro promosso da Federmeccanica e Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica), con il patrocinio di Confindustria Veneto. All’evento hanno partecipato Enrico Carraro, Presidente Confindustria Veneto, il presidente del consiglio regionale veneto Roberto Ciambetti; Roberto Vavassori, presidente Anfia e Chief Public Affairs Officer & Board Member di Brembo; Federico Visentin, presidente Federmeccanica nonché presidente & Ceo Mevis; e Marco Stella, presidente Gruppo Componenti Anfia e Ceo DTS Group.

L’auto green è il futuro delle quattro ruote

«I motori elettrici, con meno parti mobili, offrono modularità e facilità di scalabilità in termini di potenza e coppia. Ad esempio, raddoppiare la potenza del motore è possibile, con il green; molto difficile, con il termico. La produzione è semplificata e questo è cruciale. Il veicolo elettrico, partendo da un foglio bianco, è fortemente integrato con l’elettronica, indispensabile per risolvere le problematiche moderne», afferma Luca Beltrametti.

Per Enrico Carraro, «è vero che Frans Timmermans (ex vicepresidente esecutivo della Commissione Europea per il Green Deal europeo, ha avuto un ruolo cruciale nel promuovere la transizione ecologica e le politiche ambientali a livello continentale) ha fatto disastri. Però non si può negare che il mondo va nella direzione dell’auto green».

La crescita esponenziale della Cina nell’auto green

  • Il dominio cinese nelle quattro ruote

Il dominio cinese nell’auto green discende anche da quello sulle quattro ruote in generale. La Cina ha raggiunto un traguardo storico nel settore, affermandosi poi come leader mondiale nella produzione di veicoli elettrici. Questo risultato è frutto di una crescita esponenziale che ha visto la produzione di auto aumentare da 507.103 unità nel 1998 a un impressionante totale di 26.123.757 unità nel 2023. Ciò rappresenta un incremento del 5.051,6%, segno di un cambiamento radicale nel panorama globale dell’automotive.

  • La supremazia di Byd nel mercato delle auto elettriche in Cina a gennaio 2024

Si accennava al fatto che il mercato delle auto elettriche in Cina ha visto Byd confermarsi leader indiscusso nel gennaio 2024 (secondo i dati pubblicati da CarNewsChina.com). Con 98.423 unità vendute, Byd detiene una quota di mercato del 26,18%, distanziandosi nettamente dai concorrenti.

In Cina l brando di ecar più vendute è Byd, seguito da Tesla, Wuling, Aion. Agli ultimi posti della classifica Zeekr, Geely, Nio e Leap.

Tesla segue al secondo posto con 39.881 unità vendute, che rappresentano il 10,61% del mercato. Wuling, noto per i suoi modelli economici e compatti, si posiziona al terzo posto con 27.557 unità vendute e una quota di mercato del 7,33%.

Aion e Changan completano la top five con rispettivamente 21.115 e 19.472 unità vendute, detenendo quote di mercato del 5,62% e 5,18%.

Volkswagen, uno dei principali produttori europei, ha venduto 15.828 unità, assicurandosi una quota di mercato del 4,21%. Zeekr, Geely, Nio e Leap chiudono la classifica dei primi dieci con vendite rispettive di 12.537, 11.876, 10.055 e 8.849 unità, e quote di mercato variabili tra il 2,35% e il 3,33%.

Nel complesso, il mercato cinese delle auto elettriche ha visto un totale di 376mila unità vendute nel mese di gennaio 2024, con BYD che continua a guidare saldamente il settore grazie alla sua vasta gamma di veicoli elettrici e alla forte domanda interna.

Confronto tra politiche di sostegno: Cina vs Europa nell’automotive elettrico

  • Politiche Cinesi: Una Visione Mirata all’Innovazione
Secondo Enrico Carraro, presidente di Confindustria veneto, «è vero che Frans Timmermans ha fatto disastri. Però non si può negare che il mondo va nella direzione dell’auto green».

Le politiche di sostegno cinesi si sono distinte per la loro concentrazione e precisione. Il governo ha investito massicciamente nelle infrastrutture di ricarica, concentrandole nelle città più popolose e creando un ambiente favorevole alla diffusione dei veicoli elettrici.

Le politiche di sostegno hanno costituito un motore per l’innovazione, spingendo i produttori a sviluppare soluzioni sempre più avanzate. Questo approccio ha permesso alla Cina di raggiungere rapidamente un livello tecnologico elevato, contendendo la leadership alle case automobilistiche europee. Le sovvenzioni per l’acquisto di veicoli elettrici e gli ingenti investimenti in infrastrutture di ricarica hanno giocato un ruolo cruciale nel favorire questa espansione: hanno peraltro contribuito a migliorare significativamente le prestazioni dei veicoli elettrici, riducendo al contempo i costi di produzione.

Quanto alle economie di scala e alle competenze professionali, la Cina ha saputo sfruttare efficacemente le sue risorse naturali e umane. La disponibilità di materie prime, insieme alle grandi economie di scala raggiunte, ha permesso ai produttori cinesi di ottenere vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti occidentali. Inoltre, l’accesso a un ampio bacino di competenze professionali ha facilitato il rapido avanzamento tecnologico e la produzione di massa, rendendo i veicoli elettrici cinesi sempre più competitivi sul mercato globale.

Questo progresso non solo ha posto la Cina al vertice del mercato automobilistico elettrico, ma ha anche ridefinito gli standard globali del settore. La capacità di innovare e di produrre su vasta scala ha messo in luce la dinamica forza economica e tecnologica del paese, proiettando il mercato cinese in una posizione dominante per il futuro.

  • Politiche europee: obiettivi ambiziosi, risultati misti

Le politiche europee, sebbene ambiziose nei loro obiettivi di riduzione delle emissioni, si sono rivelate meno efficaci e meno mirate. Come si accennava, l’Unione Europea ha imposto obiettivi molto stringenti di emissioni zero, con l’intenzione di guidare il continente verso una transizione verde. Tuttavia, questi obiettivi hanno creato significative sfide per il settore automotive europeo, che si è trovato a dover affrontare una trasformazione radicale senza disporre delle risorse e delle infrastrutture necessarie.

Quanto a queste ultime, la rete di stazioni di ricarica per veicoli elettrici è ancora insufficiente per sostenere una transizione di massa verso il green. Molti paesi europei, tra cui l’Italia, non hanno ancora sviluppato una rete di ricarica capillare e accessibile che possa supportare l’aumento previsto di veicoli elettrici sulle strade. Questa mancanza limita l’adozione da parte dei consumatori, che possono essere riluttanti a passare a veicoli elettrici per paura di non trovare punti di ricarica sufficienti.

Come si accennava, un altro problema è la disponibilità limitata di energia rinnovabile. Molti paesi europei non sono ancora in grado di fornire energia sufficiente da fonti rinnovabili per alimentare un parco veicoli completamente elettrico. In Italia, per esempio, meno del 50% dell’energia proviene da fonti rinnovabili, un dato che complica ulteriormente il raggiungimento degli obiettivi di zero emissioni. Senza un aumento significativo della produzione di energia rinnovabile, l’elettrificazione del parco veicoli potrebbe semplicemente spostare le emissioni dai tubi di scappamento alle centrali elettriche.

Una colonnina di ricarica Abb. La rete di stazioni di ricarica per veicoli elettrici è ancora insufficiente per sostenere una transizione di massa verso il green. Molti paesi europei, tra cui l’Italia, non hanno ancora sviluppato una rete di ricarica capillare e accessibile che possa supportare l’aumento previsto di veicoli elettrici sulle strade.

Inoltre, la transizione verso veicoli elettrici richiede enormi investimenti in ricerca e sviluppo, nonché la costruzione di nuove infrastrutture di produzione. Molte case automobilistiche europee si sono trovate a dover ristrutturare radicalmente le loro operazioni in un periodo di tempo relativamente breve, con costi significativi. Questo ha messo sotto pressione le finanze delle aziende e ha creato incertezza nel settore.

La mancanza di un sistema di incentivi efficace ha ulteriormente complicato la situazione. Mentre alcuni paesi europei hanno offerto sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, queste misure non sono state sufficienti per stimolare una domanda di massa. In molti casi, gli incentivi sono stati temporanei o limitati, creando incertezza per i consumatori e per le aziende che investono in nuove tecnologie. Questo ha rallentato l’adozione di nuove tecnologie e la crescita del mercato dei veicoli elettrici.

Infine, la frammentazione delle politiche tra i vari stati membri dell’UE ha creato ulteriori sfide. Ogni paese ha adottato approcci diversi, creando un mosaico di regolamentazioni e incentivi che non sempre funzionano in sinergia. Questo ha portato a inefficienze e ha reso più difficile per le aziende operare su scala europea. La mancanza di una visione unificata e di una strategia coordinata ha limitato l’efficacia complessiva delle politiche europee.

Sfide per l’Europa nell’automotive elettrico

  • Obiettivi di zero emissioni: una meta difficile, da rivedere nella tempistica

Come si diceva, gli obiettivi europei di zero emissioni rappresentano una sfida titanica. La realizzazione di questi obiettivi entro i tempi previsti è complicata dalla carenza di infrastrutture e dalla limitata disponibilità di energia rinnovabile.

un altro problema è la disponibilità limitata di energia rinnovabile. Molti paesi europei non sono ancora in grado di fornire energia sufficiente da fonti rinnovabili per alimentare un parco veicoli completamente elettrico. In Italia, per esempio, meno del 50% dell’energia proviene da fonti rinnovabili, (Fonte: Terna)

Rivalutare in modo pragmatico gli obiettivi e i tempi per la trasformazione green è necessario. Non si tratta di mettere in discussione il “se“, ma il “come e il quando“. Aumentare gli appalti pubblici per sostenere l’industria automotive, alzare progressivamente l’asticella tecnologica con normative dettagliate e aggiornate nel tempo per incentivare l’innovazione continua, come avvenuto con le normative Euro per le emissioni, sono passi fondamentali.

  • Materie prime: un controllo cruciale

Un altro ostacolo significativo è la disponibilità di materie prime critiche necessarie per la produzione di veicoli elettrici. Si accennava al fatto che molte di queste risorse sono controllate dalla Cina, il che pone l’Europa in una posizione di dipendenza e vulnerabilità.

  • Infrastrutture: un collo di bottiglia
La transizione verso veicoli elettrici richiede enormi investimenti in ricerca e sviluppo, nonché la costruzione di nuove infrastrutture di produzione. Molte case automobilistiche europee si sono trovate a dover ristrutturare radicalmente le loro operazioni in un periodo di tempo relativamente breve, con costi significativi. In Italia, non sono ancora all’altezza, nonostante la crescita significativa di colonnine registrata nel 2023 (Fonte: Motus-E)

Le infrastrutture di ricarica rappresentano un altro collo di bottiglia per l’Europa. Si accennava alla situazione italiana. Tuttavia, per raggiungere gli obiettivi stabiliti dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec), sarebbe necessario un numero significativamente maggiore di punti di ricarica. La carenza di una rete di ricarica adeguata limita la diffusione dei veicoli elettrici e ostacola il raggiungimento degli obiettivi di emissioni zero.

  • L’Importanza della neutralità tecnologica nel settore automotive
Da sinistra Luca Beltrametti e Corrado La Forgia.

Si accennava al fatto che adottare una politica di neutralità tecnologica potrebbe essere la chiave per rivoluzionare il settore automotive europeo. Ampliando le opzioni tecnologiche disponibili, i produttori europei avrebbero la possibilità di diversificare la loro offerta, conquistando nuove posizioni di leadership a livello globale.

Occorre eliminare “l’imbuto tecnologico”, la focalizzazione sul solo elettrico. La neutralità tecnologica eliminerebbe questo rischio, permettendo un’ampia gamma di innovazioni e soluzioni diversificate. Questo approccio non solo aumenterebbe la competitività, ma incoraggerebbe anche lo sviluppo di tecnologie sostenibili alternative.

«La transizione all’elettrico non è l’unica via; il mercato globale offre opportunità di diversificazione che devono essere colte. La politica deve supportare l’industria automobilistica, incoraggiando l’innovazione tecnologica e sfruttando le competenze ingegneristiche. Non possiamo ignorare l’impatto ambientale dei veicoli elettrici e dobbiamo garantire che l’energia utilizzata provenga da fonti rinnovabili» – afferma Corrado La Forgia.

Per Federico Visentin, c’è da augurarsi che «la nuova Commissione Europea rifletta sulla necessità di introdurre il principio della neutralità tecnologica per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni: l’elettrico deve essere una delle opzioni e non l’unica soluzione».

Secondo Roberto Ciambetti, occorre che «la futura Commissione Europea possa avere obiettivi chiari e lineari, per poter programmare in modo efficace. Io ho un osservatorio particolare a Buxelles, quello del Comitato delle Regioni, che si relaziona con il Parlamento e con la Commissione. La situazione recente del settore automotive è “schizofrenica”, anche se gli approcci della Commissione sono meno integralisti».

Inoltre, per Roberto Vavassori, c’è la necessità di «disporre di energia pulita nella quantità e tempistica richiesta dal sistema e a costi competitivi con il resto dei concorrenti, quella imperativa di snellire molti processi burocratici autorizzativi a tutti i livelli, inclusi quelli regionali».

Il ruolo delle Pmi italiane

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L’Italia, con il suo sistema manifatturiero dominato da piccole e medie imprese, deve trovare il suo posto nelle nuove catene globali del valore. Puntare sulla creatività e l’innovazione come tratti distintivi è cruciale per passare dal “Made in Italy” a “Invented and Made in Italy”.

L’Italia, con il suo sistema manifatturiero dominato da piccole e medie imprese, deve trovare il suo posto nelle nuove catene globali del valore. Puntare sulla creatività e l’innovazione come tratti distintivi è cruciale per passare dal “Made in Italy” a “Invented and Made in Italy“. Questo passaggio è essenziale per evitare che le Pmi italiane siano relegate al ruolo di semplici produttori di componenti in competizione con paesi a basso costo ma alta qualità. Risolvere le problematiche legate alla crescita dimensionale delle imprese e migliorare la governance manageriale è fondamentale per interagire efficacemente con i grandi player internazionali.

Si diceva che occorre attrarre investimenti cinesi in Italia. Collaborare con aziende cinesi, leader nel settore dei veicoli elettrici e delle tecnologie innovative, consente di accedere a nuove tecnologie, migliorando la competitività tecnologica dell’industria italiana. Inoltre, gli investimenti promuovono la ricerca e lo sviluppo, accelerando l’innovazione e l’introduzione di nuove soluzioni sul mercato. Stabilire impianti produttivi in Italia riduce la necessità di trasporti a lunga distanza, contribuendo alla riduzione delle emissioni di carbonio e migliorando l’impronta ecologica del settore.

Gli investimenti cinesi generano nuovi posti di lavoro, stimolando l’economia locale e migliorando le condizioni socio-economiche. L’interazione con aziende tecnologicamente avanzate eleva il livello di competenze del personale locale attraverso programmi di formazione e sviluppo professionale. Inoltre, promuovere la collaborazione con aziende cinesi crea sinergie positive, migliorando le relazioni commerciali tra i due paesi e aprendo nuove opportunità di mercato.

Tavolo sviluppo automotive: analisi e proposte per il futuro della filiera italiana

  • Il severo impatto dell’elettrificazione sulla filiera italiana
La Fiat 500 elettrica è una delle vetture elettriche più vendute in Italia. Ma i numeri sono ben lontani da quelli di competitor come Tesla.

Si accennava al Tavolo Sviluppo Automotive, che ha coinvolto oltre 150 esperti, suddivisi in cinque gruppi di lavoro (Gdl), per analizzare e progettare un piano di intervento volto a sostenere la transizione del settore. I gruppi si sono concentrati su volumi produttivi e mercato, competitività degli stabilimenti, ricerca e innovazione, supply chain, e occupazione e formazione.

«Lo studio ha evidenziato l’importanza della filiera dei componentisti italiani, fondamentale per l’economia italiana, ma la transizione verso i veicoli elettrici pone sfide significative» – afferma Dario Duse.

Le proiezioni indicano che entro il 2030 i veicoli elettrici a batteria (Bev) rappresenteranno circa il 48% del totale globale, con l’Europa che emergerà come leader per l’elettrificazione, raggiungendo una quota del 64%. In Italia, si prevede che oltre il 90% dei veicoli sarà Bev entro il 2030, richiedendo una trasformazione radicale della filiera di approvvigionamento.

Si accennava al severo impatto, anche in termini numerici, dell’elettrificazione. «Le aziende della filiera dovranno adattarsi rapidamente, sviluppando nuove competenze e tecnologie per rimanere competitive» – continua Dario Duse.

  • Come affrontare queste sfide in Italia

Sul fronte della competitività, gli stabilimenti italiani mostrano un gap rispetto a quelli spagnoli, sia in termini di costo del lavoro che di produttività ed energia. Ad esempio, il costo orario del lavoro in Italia è del 22% più alto rispetto alla Spagna, mentre la produttività è inferiore del 38%. Questo svantaggio competitivo rende urgente l’adozione di misure per migliorare l’efficienza e ridurre i costi.

«La ricerca e l’innovazione sono cruciali per il futuro della filiera. Tuttavia, in Italia, quattro criticità principali limitano la capacità di fare ricerca: bassa aggregazione e dimensione aziendale, difficoltà di finanziamento, scarso capitale di rischio e disponibilità limitata di nuove competenze, soprattutto nell’ingegneria elettrica e elettronica, software e progettazione industriale» – Fabrizio Mercurio.

Per affrontare queste sfide, il protocollo d’intesa proposto include 4 indirizzi tematici e 20 aree di lavoro: anzitutto, l’incremento della produzione locale, ottimizzando gli schemi di incentivazione alla domanda; poi, il miglioramento della competitività produttiva, focalizzandosi su energia e digitale; ancora, l’attrazione di investimenti e promozione della R&D per rinnovare il settore; infine, il supporto alla trasformazione industriale e allo sviluppo occupazionale.

Le aree di lavoro sono state strutturate in un piano con governance definita e tempistiche di implementazione, con l’annuncio ufficiale previsto per l’autunno 2024. Il piano include misure sia a breve termine (1 anno) che a medio/lungo termine (3-5 anni), e prevede un’incentivazione pluriennale per l’acquisto di veicoli basati su uno scoring di impronta ecologica (Esg). Questo approccio potrebbe essere esteso a veicoli commerciali, flotte aziendali e infrastrutture di ricarica. Inoltre, si prevede l’aumento dell’accessibilità a fonti di finanziamento per creare nuovi siti di produzione o ammodernare quelli esistenti.














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