Auto elettriche, case green, politiche industriali UE… intervista a 360° all’economista Carlo Cottarelli

di Marco De' Francesco ♦︎ Secondo l'ex Commissario alla Revisione della Spesa Pubblica e attuale docente della Cattolica, ci sono pochi dubbi: l'UE rallenterà la corsa al green. Perché sta cambiando il vento politico, ma anche a causa dell'economia europea, che fatica a tenere il passo. I termini per auto elettriche e case green verranno spostati più avanti, ma non verranno cancellati. Lo scetticismo sull'arrivo in Europa dei carmaker cinesi. E sull'IA...

«È possibile che i termini previsti per auto e case green saranno spostati più avanti». Lo afferma Carlo Cottarelli, una figura di spicco nel panorama economico e politico italiano, con una vasta esperienza internazionale e un forte impegno nella riforma della spesa pubblica e nella promozione di politiche fiscali sostenibili. Ha lavorato per molti anni al Fmi (Fondo Monetario Internazionale), dove ha ricoperto varie posizioni di rilievo, tra cui quella di direttore del dipartimento degli Affari Fiscali. Nel 2013, è stato nominato dal governo italiano come Commissario alla Revisione della Spesa Pubblica, incarico che gli è valso il soprannome di “Mister Spending Review”. Attualmente è docente di scienze bancarie, finanziarie e assicurative alla Cattolica di Milano. Com’è noto, l’Unione Europea ha stabilito che entro il 2035 tutte le nuove auto e i furgoni immatricolati devono essere a zero emissioni. Quanto alle Case green, ogni Stato membro dovrà impegnarsi a ridurre nel complesso il consumo medio di energia del 16% entro il 2030, e di almeno il 20% entro il 2035 (2033 per gli edifici non residenziali).

Cosa accade? Le elezioni europee, al netto della possibile affermazione di un nuovo governo di Ursula Von der Leyen, hanno definito un quadro politico diverso dal precedente, con un crescente spostamento verso destra. Per Cottarelli, questo cambiamento potrebbe avere un impatto significativo: un rallentamento nell’attuazione delle politiche ambientali. D’altra parte le direttive europee contengono clausole di revisione che permettono di adattare i termini senza modifiche sostanziali.







Per Cottarelli il nazionalismo crescente implica un approccio più individualista, dove i singoli Paesi tendono a fare le cose per conto proprio piuttosto che collaborare a livello europeo. Questo rende più difficile realizzare progetti comuni e coordinare iniziative su larga scala, come un nuovo Next Generation EU. La cooperazione tra i paesi membri potrebbe diminuire, complicando la gestione di progetti importanti, relativi al 5.0 e al green. Sempre per Cottarelli è il motivo per cui la finanza internazionale temeva un possibile governo Bardella-Le Pen in Francia: il rischio avrebbe riguardato la stabilità politica in Europa.

D: Nel 2008, il Pil dell’Unione Europea era pari a 10 ottavi di quello degli USA e tre volte quello cinese. Ora è 6 decimi di quello degli Usa e la Cina ci ha superati. Eppure, sono passati solo 15 anni, non secoli. Cosa ci rende meno competitivi?

Carlo Cottarelli, ex direttore del dipartimento affari fiscali del Fmi e attualmente Professore alla Cattolica.

R: La questione cinese è legata alla globalizzazione; la vera domanda è perché abbiamo fatto così male rispetto agli Stati Uniti. Non c’è dubbio che nel 2008 abbiamo avuto una crisi significativa, quella dell’area dell’euro, la cosiddetta crisi dei debiti sovrani, che non ha colpito gli Stati Uniti. Questo ha fatto perdere diversi punti percentuali al nostro Pil e ha accentuato il divario. Quella crisi ha avuto effetti duraturi per anni. Prendiamo l’Italia, ad esempio: non è stata solo colpita nel 2011-2012, ma anche negli anni successivi la crescita è rimasta bassa. Più recentemente, abbiamo avuto altri fattori negativi come la vicinanza alla Russia e la crisi derivante dall’attacco all’Ucraina. Questi due episodi, nel giro di 15 anni, hanno influenzato in modo rilevante i risultati economici dell’Europa.

D: Non pensa che ci sia stato qualcosa che non ha funzionato nella politica europea?

R: La crisi del 2008, la crisi dei debiti sovrani, è stata un chiaro segnale che qualcosa non funzionava. Alcuni paesi, inclusa l’Italia, sono entrati nell’euro senza essere preparati. Una volta entrati, avrebbero dovuto adeguarsi, ma non lo hanno fatto. La crisi era quindi inevitabile. Inoltre, la citata vicinanza alla Russia e altre crisi geopolitiche hanno ulteriormente complicato la situazione. Mentre molte cose non funzionavano anche prima in Europa, questi nuovi fattori hanno avuto un impatto significativo.

D: Probabilmente ci stiamo avviando verso una nuova maggioranza con Ursula Von der Leyen. Tuttavia, in alcuni paesi sono emerse delle criticità rispetto a questa maggioranza politica, rendendo la situazione europea piuttosto complicata. Secondo lei, ci saranno degli effetti sulle principali politiche industriali, come l’industria 5.0 e le iniziative green?

R: Sì, certamente. L’Europa che si sta spostando più a destra e i partiti verdi hanno avuto meno successo. Questo porterà probabilmente a una politica meno orientata verso le iniziative green. Molte direttive contengono clausole di revisione; credo che ci sarà un rallentamento nell’attuazione delle politiche ambientali. Parlando in generale, lo spostamento verso una destra nazionalista renderà più difficile realizzare progetti comuni. Il nazionalismo tende a favorire un approccio più individualista, in cui i singoli Paesi cercano di fare le cose per conto proprio. Questo comporterà maggiori difficoltà nel coordinare iniziative a livello europeo. Di conseguenza, mi aspetto che sarà meno probabile vedere operazioni congiunte come il Next Generation EU, che prevede prestiti comuni. La cooperazione tra i Paesi membri potrebbe diminuire, rendendo più complessa la gestione di progetti industriali e ambientali su larga scala. Questo indebolimento della collaborazione potrebbe avere un impatto negativo sulla capacità dell’Europa di affrontare le sfide globali in modo efficace e coordinato.

D: A seguito del primo turno delle elezioni in Francia, gli ambienti finanziari internazionali sembrano molto preoccupati per un possibile governo guidato dal Rassamblement National, il partito guidato da Jordan Bardella e Marine Le Pen. Un siffatto esecutivo sarebbe però più simile al governo di centro-destra della Meloni che ad uno estremista. Che cosa temono, gli ambienti finanziari? (Domanda posta prima del secondo turno, che ha visto l’affermarsi de la gauche).

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, probabilmente otterrà una nuova maggioranza. ;a ‘Europa si sta spostando più a destra e i partiti verdi stanno avendo meno successo. Questo porterà  a una politica meno orientata verso le iniziative green.

R: La questione principale riguarda la solidarietà europea. Preoccupa il fatto che, con l’ascesa di governi nazionalisti come quello di Le Pen, i paesi europei tenderanno a muoversi più da soli che insieme. In un mondo globalizzato, l’Europa deve agire unita per essere efficace. Se ogni paese agisce per conto proprio, perdiamo forza e capacità di influenza. Prendiamo, ad esempio, la spesa militare. Se continuiamo con 27 eserciti nazionali distinti, sarà molto difficile difenderci in modo efficace. Immaginiamo un attacco dalla Russia: in una settimana potrebbe arrivare a Lisbona, perché i nostri 27 eserciti non riuscirebbero a coordinarsi adeguatamente. Questo accade perché continuiamo a vedere le minacce come potenzialmente provenienti anche dagli altri paesi dell’Unione Europea, anziché dall’esterno. Se riconoscessimo che le vere minacce non vengono dagli altri paesi dell’UE, ma da fuori, potremmo concentrare le nostre risorse e difese in modo più efficace. L’unica frontiera rilevante in questo contesto è quella con la Russia. Continuare a mantenere 27 eserciti che guardano solo alle proprie frontiere nazionali è un serio problema di sicurezza. La vittoria di Le Pen in Francia, seguita magari da una leadership simile in Germania, accentuerebbe questa mancanza di unità. Abbiamo già visto una tendenza nazionalista crescere in Italia, con Vox in Spagna e altri movimenti simili in Europa. Questo rischia di riportarci a un’epoca di divisioni e conflitti che pensavamo di aver superato. La storia ci ha insegnato quanto sia devastante la mancanza di cooperazione tra nazioni vicine. Dobbiamo evitare di ripetere gli errori del passato e lavorare per una maggiore integrazione e solidarietà europea.

D: In una recente occasione pubblica, lei ha affermato che probabilmente i termini previsti dall’UE per le auto termiche e le case green saranno spostati in avanti. Può spiegare meglio questa posizione?

R: Sì, certo. Quello che ho detto è che all’interno delle direttive dell’UE sono già previste delle clausole di revisione. Queste clausole permettono di adattare i termini senza dover modificare completamente le direttive. Per esempio, se attualmente l’obiettivo è fissato al 2035, potrebbe essere posticipato al 2040. Questi spostamenti saranno discussi e decisi alla luce delle clausole di revisione, che consentono di valutare i progressi e le circostanze attuali prima di prendere una decisione definitiva. In pratica, la direttiva rimane invariata nei suoi obiettivi di fondo, ma le tempistiche possono essere adeguate in base alle necessità e ai progressi compiuti. Questo approccio offre flessibilità e permette di affrontare eventuali difficoltà incontrate nel percorso verso il raggiungimento degli obiettivi.

D: Riguardo alle politiche green, l’Europa sembra concentrarsi molto sugli obiettivi finali, ma meno sui mezzi per raggiungerli; secondo taluni, trascura il concetto di neutralità tecnologica. Non pensa che questa sia una visione troppo etica e poco pragmatica? L’UE sembra lasciare un po’ di confusione, ad esempio, approvando alcuni tipi di combustibili nell’automotive ma non altri.

Secondo Cottarelli, l’approccio dell’UE alla transizione green è pragmatico e garantisce la neutralità tecnologica. E questo vale sia per il settore automotive, sia per il tema delle case green.

R: L’approccio dell’Europa è decisamente pragmatico. Concentrandosi sugli obiettivi finali e lasciando ai paesi la libertà di scegliere i mezzi per raggiungerli, l’UE mantiene la neutralità tecnologica e promuove l’innovazione. Per esempio, nel settore delle auto a emissioni zero, l’obiettivo è raggiungere emissioni zero entro il 2035 senza imporre tecnologie specifiche come l’elettrico, permettendo ai paesi di adattare le soluzioni alle proprie risorse. Lo stesso vale per le case green: l’UE richiede obiettivi di efficienza energetica e riduzione delle emissioni, ma lascia ai paesi la libertà di scegliere i metodi e le tecnologie più adatti. Questo approccio flessibile è fondamentale per promuovere la creatività e la capacità dei paesi di raggiungere risultati con tecnologie diverse e potenzialmente più efficaci. Evitando un approccio dogmatico, l’UE favorisce l’elasticità necessaria per affrontare le sfide ambientali in modo efficace e sostenibile. Inoltre, la neutralità tecnologica incentiva la competizione tra diverse tecnologie, stimolando l’innovazione e migliorando l’efficienza.

D: A proposito delle Case Green, ho notato che per realizzarle dovremmo affrontare costi stellari. Si parla di centinaia di miliardi, se non migliaia. Ma nel 2023 le emissioni di CO2 della Cina sono aumentate di 565 milioni di tonnellate, quasi il doppio delle emissioni italiane complessive (310 Mt) e quattordici volte il risparmio di CO2 che otterremmo con le Case Green italiane (41 Mt). Non sarebbe meglio dialogare con i cinesi per ridurre le emissioni globali, piuttosto che fare le case green?

R: Parlare con i cinesi è più efficace se prima abbiamo fatto i nostri “compiti a casa”. Dobbiamo dimostrare di aver raggiunto i nostri obiettivi prima di chiedere agli altri di fare lo stesso. Negli anni ’70 e ’80, le misure per migliorare l’efficienza energetica non erano legate al riscaldamento globale, ma piuttosto alla nostra dipendenza energetica e alla riduzione dei costi. Oggi, dobbiamo considerare anche l’aspetto ambientale: e non è solo una questione di riscaldamento globale. Le case che non sono verdi emettono polveri sottili, che hanno un impatto significativo sulla nostra salute, soprattutto in aree come la Pianura Padana. Naturalmente, i costi sono un problema e non tutti possono permettersi di investire in ristrutturazioni green senza aiuti pubblici. È necessario fornire sussidi, ma senza esagerare. L’obiettivo deve essere rendere le nostre case più efficienti dal punto di vista energetico, risparmiando sui costi e diventando più indipendenti. Abbiamo il sole e l’acqua, e dobbiamo usarli in modo intelligente. Procedere in questa direzione non è sbagliato e non deve essere giustificato solo con il riscaldamento globale, ma anche con il miglioramento della qualità della vita e della salute pubblica.

D: La Cina detiene il 60% dei pannelli solari e il 50% delle pale eoliche, ma le sue emissioni di CO2 aumentano. Come si spiega?

R: La Cina utilizza molto carbone, che inquina di più rispetto ad altre fonti come il gas naturale. Dobbiamo continuare a investire nel green per migliorare la nostra efficienza energetica e ridurre la dipendenza da fonti inquinanti. La Cina ha fatto grandi progressi nelle energie rinnovabili, ma continua a fare affidamento sul carbone per gran parte della sua produzione energetica. Questo è un problema che deve essere affrontato a livello globale, attraverso cooperazione internazionale e politiche di riduzione delle emissioni.

D: Parlando del settore automobilistico e delle auto elettriche, molti si aspettano un’invasione di auto cinesi, competitive anche sotto il profilo dei prezzi. Non c’è il rischio di regalare il mercato alla Cina?

R: Gli standard ambientali e le tasse, come la carbon tax, sono strumenti per prevenire ciò. È importante che queste misure siano sufficientemente alte e ben implementate per evitare scappatoie. L’imposizione di standard rigorosi e la tassazione delle emissioni di carbonio possono aiutare a mantenere la competitività dell’industria europea, impedendo che le auto cinesi a basso costo invadano il mercato senza rispettare le stesse norme ambientali.

D: Alcuni pensano che l’arrivo di un grande produttore cinese in Italia potrebbe favorire l’occupazione. Cosa ne pensa?

Interni dello stabilimento di Byd in Cina, Secondo Cottarelli, è improbabile che dei produttori cinesi aprano stabilimenti in Italia. I costi di produzione da noi sono molto elevati, a partire dall’energia.

R: Non credo che sia realistico aspettarsi che i produttori cinesi vengano a produrre in Italia. I costi di produzione qui sono molto alti, soprattutto per quanto riguarda l’energia. I produttori cinesi non sono ingenui: sanno che ci sono mercati più convenienti e vantaggiosi dove possono produrre a costi inferiori. Inoltre, l’Europa rappresenta una parte relativamente piccola del mercato globale, e le case automobilistiche cinesi hanno una strategia di vendita che mira a tutto il mondo, non solo all’Europa. La loro priorità è vendere auto in mercati dove la domanda è alta e i costi di produzione sono più bassi. In questo contesto, aspettarsi che i produttori cinesi investano significativamente in Italia per favorire l’occupazione locale è poco realistico. Sarebbe più efficace per l’Italia concentrarsi su strategie che migliorino la competitività interna, ad esempio riducendo i costi energetici e creando un ambiente più favorevole agli investimenti. Solo così possiamo attirare investimenti stranieri e promuovere la crescita del settore automotive nel nostro paese.

D: L’Europa tende a imporre regolamentazioni un po’ ovunque. Tuttavia, rappresentiamo solo il 16% della manifattura mondiale. C’è da chiedersi perché il restante 84% dovrebbe aderire alle nostre regole.

R: Gli Stati Uniti, tradizionalmente, hanno un deficit commerciale piuttosto significativo con il resto del mondo, mentre l’Europa no. Questo indica che le nostre regolamentazioni non hanno danneggiato la nostra capacità di esportare.

D: Non sarebbe meglio investire nel settore dell’intelligenza artificiale piuttosto che nel green? Non ritiene che l’intelligenza artificiale sia la chiave dell’economia del futuro?

Secondo l’economista, l’IA non ha portato all’aumento della produttività che ci si aspettava. Rappresenta il futuro ed è necessario investire in questa tecnologia, che però al momento non ha dato la spinta attesa.

R: Certamente l’intelligenza artificiale rappresenta un settore fondamentale per il futuro e dobbiamo investire di più in questo ambito. Tuttavia, al momento, l’intelligenza artificiale non ha ancora dimostrato un impatto significativo sulla produttività. Ogni innovazione tecnologica deve essere valutata in base ai risultati concreti che produce e, finora, l’IA non ha portato all’aumento della produttività che ci si aspettava. L’aumento della produttività negli Stati Uniti, ad esempio, è stato più lento negli ultimi anni rispetto agli ultimi 150 anni, nonostante i notevoli investimenti in intelligenza artificiale. Questo suggerisce che, sebbene l’IA abbia un grande potenziale, non è ancora la soluzione definitiva per tutti i problemi economici. Dobbiamo quindi mantenere un approccio equilibrato. Investire nell’intelligenza artificiale è cruciale, ma dobbiamo anche continuare a investire in altre aree importanti come la sostenibilità ambientale. Le politiche green sono essenziali per affrontare le sfide del cambiamento climatico e per garantire un futuro sostenibile. La combinazione di investimenti in IA e green technology può creare sinergie che porteranno a un progresso complessivo più equilibrato e sostenibile. In definitiva, non si tratta di scegliere tra AI e green, ma di integrarle entrambe nelle nostre strategie di sviluppo per massimizzare i benefici a lungo termine.














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1 commento

  1. l rallentamento dei piani di innovazione verso l’elettrico in Europa è una fase normale nel processo di transizione. Questi ostacoli non devono sorprendere, dato che ogni grande cambiamento tecnologico affronta sfide e incertezze.

    In questo contesto, noi di Alkè crediamo fermamente che la strada verso una mobilità più green sia quella giusta. Le nostre soluzioni elettriche sono progettate per essere pratiche e integrabili con le infrastrutture esistenti, riducendo i costi e le complessità. Con un impegno continuo nell’innovazione, siamo determinati a dimostrare che una mobilità sostenibile è non solo possibile, ma già realizzabile oggi.

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