Imprenditori manufatturieri: cosa aspettate? Per essere competitivi e sostenibili dovete digitalizzare la supply chain. Parla Quin

di Barbara Weisz ♦︎ La maggior parte delle imprese italiane non ha ancora raggiunto un livello di digitalizzazione e operatività adeguato. Soprattutto sulla supply chain. La visione strategica c'è, ma sono carenti nell'esecuzione. A metterlo nero su bianco un'analisi di Quin, presentata durante un evento al Made4.0. Che evidenzia la scarsa visibilità delle imprese sulle emissioni di scopo 2 e 3. E un forte gap fra strategia e messa a terra delle iniziative. I punti di vista di Caleffi Hydronic Solutions, Artsana, Riso Scotti. L'analisi di Fabio Valgimigli, ceo di Quin

La digitalizzazione della supply chain rappresenta una sfida per molte imprese manifatturiere italiane, spesso non sufficientemente allineata agli obiettivi di sostenibilità. Oggi, la maturità digitale dei processi end-to-end, dall’approvvigionamento alla realizzazione e consegna del prodotto finale, si trova a uno stadio iniziale. Meno del 40% delle organizzazioni ha raggiunto un livello avanzato di digitalizzazione e operatività eccellente. Nonostante una visione strategica chiara, molte aziende mostrano carenze nell’implementazione. Questo gap fra progettualità e messa a terra riguarda soprattutto i processi operativi, e in modo ancora più marcato la sostenibilità. Eppure, sottolinea Fabio Valgimigli, ceo della società di consulenza strategica ed esecutiva con soluzioni IT Quin, la supply chain «è uno dei processi su cui c’è maggior possibilità di recuperare efficienza, abilitare la transizione 5.0 e migliorare operatività e prodotti». Questo e molto altro è ciò che emerge dalla survey sulla Supply Chain Excellence 5.0 realizzata da Quin, che ha coinvolto un centinaio di aziende. La ricerca è stata presentata nel corso di un evento organizzato al Competence Center Made4.0, che ha partecipato anche alla promozione della ricerca di Quin. Durante l’evento, Massimo Onori, head of strategy and operations di Quin, e Monica Clemente, senior operations consultant scm (supply chain management) di Quin, hanno presentato i dati emersi dalla survey. Stefano Rigonat, head of scm consulting Quin, ha commentato i risultati con Roberto Bresciano, industrial director di Artsana, Antonello De Magistris, production & logistics director di Caleffi Hydronic Solutions, e Luca Priori, supply chain director di Riso Scotti. Infine, Davide Polotto, responsabile relazioni con le imprese di Made 4.0, ha presentato ulteriori dati sulla maturità digitale delle imprese che sostanzialmente confermano una serie di elementi sostanziali emersi dalla survey di Quin.

Il campione intervistato è per il 19% composto dal settore metalmeccanico, seguito da legno, componentistica, elettromeccanica, machinery, impiantistica. La survey, prosegue il Ceo Valgimigli, «vuole fotografare l’esistente per avere un benchmark della maturità della supply chain e rappresenta un punto di partenza per definire una roadmap verso l’eccellenza, operativa, digitale e sostenibile».







Gli obiettivi verso cui una supply chain estesa deve tendere sono diversi: automazione e digitalizzazione per una migliore analisi della domanda; sostenibilità, con focus su efficienza energetica e riduzione delle emissioni; visibilità e trasparenza, ovvero tracciabilità, per rispondere efficacemente sia a esigenze di compliance normativa sia alle richieste dei consumatori; resilienza, per la gestione del rischio in un momento caratterizzato da forti tensioni geopolitiche e trasformazioni di mercato che impattano su catene di approvvigionamento, materie prime, finanza per le imprese, concorrenza; personalizzazione dei servizi al cliente; collaborazione, quindi capacità di comunicazione con l’intero ecosistema.

La maggioranza delle imprese sulla supply chain mostra un livello iniziale di adozione tecnologica

Per Fabio Valgimigli, ceo di Quin, la supply chain «è uno dei processi su cui c’è maggior possibilità di recuperare efficienza, abilitare la transizione 5.0 e migliorare operatività e prodotti».

Basata su una griglia di 80 domande, l’indagine ha portato alla suddivisione delle aziende all’interno di quattro profili: il 54% è stato classificato come “traditional players”, il cui grado di digitalizzazione è ancora limitato. Seguono un 23% di “champions of excellence”, realtà eccellenti sia nei processi sia nell’adozione delle tecnologie digitali, e un 16% di “process master”, in cui l’ottimizzazione e l’efficienza dei processi sono elevati. Infine, una minoranza, il 6%, di “digital pioneers”, ovvero aziende in cui l’adozione di tecnologie digitali è a livello avanzato. Questa classificazione si basa su due elementi: l’eccellenza digitale e quella operativa. Successivamente è stato applicato un punteggio di sostenibilità, da cui emerge che le organizzazioni “champions of excellence” e “digital pioneers” sono anche le più green. Ma il dato fondamentale è che non è stata riscontrata una stretta correlazione fra sostenibilità e gli altri due ambiti indagati. «Sulla sostenibilità si stanno muovendo tutti, indipendentemente dall’eccellenza delle dimensioni operative e digitale», sottolinea Massimo Onori, head of strategy and operations di Quin.

Sulla transizione green c’è anche una forte pressione normativa, che al momento sembra però creare una sorta di dicotomia: le imprese dichiarano di avere una chiara strategia di sostenibilità, ma ad oggi faticano ad applicarla adeguatamente ai processi aziendali. «Probabilmente bisogna definire meglio il concetto di strategia – rileva il Ceo Valgimigli -. Se le risposte fornite dalle aziende si riferiscono al bilancio di sostenibilità, stiamo parlando di un adempimento legale. Altro discorso è una strategia per la transition, che sottintende un percorso diverso: bisogna capire da dove si parte e quale risultato ci si propone di raggiungere. Avere obiettivi specifici può portare benefici in termini di performance interne, posizionamento sul mercato, vendite, efficienza dei processi. Ho l’impressione che questa concezione di transizione sostenibile non sia ancora così chiara».

Lo dimostrano i ritardi sulla digitalizzazione della supply chain, che trovano conferme anche in una ricerca del Dih Lombardia, parte della rete dei digital innovation hub di Confindustria. Lo sottolinea il responsabile relazioni con le imprese di Made Polotto: «fra i vari processi industriali, la supply chain è quello che dal punto di vista della maturità digitale segna maggiormente il passo». Da questa ricerca emerge che la digitalizzazione è più avanzata nella produzione, nei processi di qualità, e nella fase di progettazione e ingegneria, mentre manutenzione e logistica sono più indietro, con la supply chain fanalino di coda.

Luca Priori, supply chain director del marchio alimentare Riso Scotti, aggiunge una considerazione a questo proposito: «le imprese della manifattura italiana, spesso a conduzione familiare, sono tradizionalmente orientate alla qualità del prodotto, e su questo concentrano anche le attività di innovazione e di sviluppo. Questo, in passato, si è tradotto in un focus leggermente minore sulle operation e la supply chain. Oggi, però, tutti stanno accelerando per colmare il gap».

La supply chain estesa richiede efficienza dei processi interni e analisi del rischio sulle attività che coinvolgono catena di fornitura e clienti

Roberto Bresciano, industrial director di Artsana.

Facciamo un passo indietro per chiarire che stiamo parlando della cosiddetta supply chain estesa, che coinvolge il perimetro interno dell’organizzazione e gli stakeholder esterni, soprattutto fornitori e clienti. Per affrontare correttamente la sfida, sottolinea Valgimigli, «il primo passaggio consiste nell’efficientare e ottimizzare i propri processi interni. La fase di assessment è fondamentale per valutare tutti i diversi segmenti coinvolti: previsione della domanda, per le imprese che già utilizzano strumenti predittivi, execution, la parte fabbrica, passando per la pianificazione della produzione, l’inventory management, la schedulazione. Bisogna armonizzare tutte queste fasi e creare delle aziende che lavorano per processi. Su questi aspetti insistiamo tutti da diversi anni, ma poi quando analizziamo il mercato vediamo che nelle aziende la tendenza a lavorare a silos spesso è un retaggio che ancora persiste».

L’industrial director di Artsana Roberto Bresciano, riporta un esempio pratico: «nella nostra azienda, presente a livello internazionale, abbiamo dovuto affrontare tutti i fenomeni disruptive degli ultimi anni. La velocità e la complessità del mondo in cui operiamo, con normative diverse nei vari paesi e mercati in continua evoluzione, impongono un cambiamento proprio a livello progettuale: bisogna concentrarsi sull’analisi del rischio. In Artsana, cerchiamo di minimizzare i rischi a partire dalla selezione delle materie prime, evitando il più possibile le monoforniture».

Fra i cinque processi dello Scor Model della Supply chain, i punteggi più alti sono nella produzione, la delivery è la fase più critica

Questa difficoltà si riflette nei dati emersi dalla ricerca. Le tre dimensioni, ovvero eccellenza operativa, digitale, e sostenibilità, sono state analizzate in base ai criteri dello Scor Model (supply chain operations reference), modello di riferimento per il processo di gestione della catena dei fornitori sviluppato dall’organizzazione internazionale Supply Chain Council, che prende in esame cinque processi principali: plan (pianificazione), source (approvvigionamento), make (produzione), deliver (spedizione), return (reso). Per ogni processo vengono definite delle precise metriche.

La pianificazione si valuta in base alla capacità di prevedere la domanda, l’approvvigionamento dovrà considerare tempi di ottenimento delle materie prime e i prezzi, la produzione deve ottimizzare la qualità del prodotto, la delivery assicurare affidabilità della consegna e analizzare i costi, il return basarsi su tempi medi e costi di gestione dei resi. La valutazione di ogni processo aziendale viene così segmentata per restituire un quadro preciso dei punti critici e delle azioni da intraprendere per avere una catena di approvvigionamento end-to-end efficiente. Ovvero basata su un’organizzazione efficace, con dati contestualizzati, e un flusso che ottimizza la produttività.

Lo Scor Model è il modello di riferimento per il processo di gestione della catena dei fornitori sviluppato dall’organizzazione internazionale Supply Chain Council. Prende in esame cinque processi principali: plan (pianificazione), source (approvvigionamento), make (produzione), deliver (spedizione), return (reso). Per ogni processo vengono definite delle precise metriche.

Ebbene, la produzione risulta essere la categoria di processo con il punteggio più alto, la fase di delivery invece è quella più critica. Il campione di aziende intervistate, per il 19% composto da aziende del settore metalmeccanico, mostra una certa solidità nell’eccellenza operativa, influenzata dall’esperienza settoriale e dalla qualità distintiva della manifattura italiana. Tuttavia, anche qui, sono necessari interventi nelle aree di approvvigionamento e spedizione.

«Spesso le aziende decidono di esternalizzare questi processi, per mancanza di competenze all’interno dell’organizzazione oppure per mancanza di strumenti tecnologici adeguati, ad esempio portali che facilitano la connessione con fornitori e clienti», commenta Onori.

Mes, sistemi di monitoraggio, software di tracciabilità e progettazione sono le tecnologie più utilizzate, ma su logistica e distribuzione la maturità digitale è ancora lontana

Torniamo al pillar digitale: «la tecnologia più utilizzata è il Mes (Manufacturing Execution System), che risulta ben superiore al livello di piena maturità digitale identificato (che è pari a 44). Seguono sistemi di monitoraggio, tracciabilità, progettazione. «Man mano che ci spostiamo verso strumenti digitali che regolano il rapporto con l’esterno, scende il punteggio di maturità digitale» rileva Monica Clemente.

L’indagine di Quin ha portato alla suddivisione delle aziende all’interno di quattro profili: il 54% è stato classificato come “traditional players”, il cui grado di digitalizzazione è ancora limitato. Seguono un 23% di “champions of excellence”, realtà eccellenti sia nei processi sia nell’adozione delle tecnologie digitali, e un 16% di “process master”, in cui l’ottimizzazione e l’efficienza dei processi sono elevati. Infine, una minoranza, il 6%, di “digital pioneers”.

Sulla copertura digitale dei processi viene rilevata una maggior concentrazione sugli strumenti più di execution, rivolti a monitoraggio e controllo, gestione dei flussi. Invece la pianificazione, e tutta la parte di strategia e distribuzione presentano maggiori lacune. La survey misura anche la maturità tecnologica dei processi di sostenibilità, e qui si torna alle considerazioni iniziali: bene la strategia, carenze di copertura digitale.

I dati sull’integrazione verticale e orizzontale confermano ulteriormente la minor attenzione sui processi verso l’esterno: le imprese investono maggiormente sui sistemi a supporto della supply chain interna, mentre sono molto più indietro sull’integrazione orizzontale.

Le imprese investono sulla sostenibilità dei processi interni, target più lontani sullo Scope 2 e 3

Per Antonello De Magistris, production & logistics director di Caleffi Hydronic Solutions: «lo Scope 1 è di più immediata applicazione perché si esercitano autonomamente leve decisionali con la possibilità di gestire un ritorno del capitale investito».

Infine, la sostenibilità. Innanzitutto, è il pillar con il gap più marcato fra strategia e attuazione. In secondo luogo, c’è una maggior focalizzazione sui target dello Scope 1, che comprendono le emissioni dirette provenienti da fonti che l’azienda possiede o controlla, come i propri impianti produttivi. Su questo, la maturità digitale non raggiunge il livello di eccellenza ma il risultato è comunque avanzato. Sullo Scope 2, quindi sulle emissioni indirette che derivano dal consumo di energia acquistata (ad esempio l’elettricità utilizzata nei processi aziendali), il punteggio scende. Per quanto riguarda infine lo Scope 3, ovvero le emissioni indirette che coinvolgono l’intera catena del valore, l’indicatore scende ulteriormente.

«Siamo bravi nello Scope 1 anche perché i progetti di efficientamento energetico sul processo industriale spesso producono una riduzione dei costi. Stiamo andando abbastanza bene nel 2 e nel 3, ma confermo essere più difficili perché presuppongono maggiori complessità a diversi livelli», sottolinea Bresciano. Sulla stessa linea il production & logistics director di Caleffi Hydronic Solutions, Antonello De Magistris: «lo Scope 1 è di più immediata applicazione perché si esercitano autonomamente leve decisionali con la possibilità di gestire un ritorno del capitale investito; gli altri target presentano maggiori difficoltà di attuazione perché sottintendono il coinvolgimento di fornitori che per strategia o dimensione potrebbero trovarsi nella condizione di dilazionare gli interventi senza una possibilità concreta dell’azienda di esercitare un’influenza decisionale».

Un altro dato molto evidente sulla sostenibilità riguarda il gap fra strategia e messa a terra delle iniziative che è ancora più marcato che nelle altre due aree investigate. «Ci aspettiamo quindi azioni importanti su riduzione dei consumi, rifiuti, circolarità delle materie prime, risparmio energetico, ottimizzazione dei trasporti, ovvero gli aspetti a cui le aziende devono prestare attenzione nell’ambito di un programma di sostenibilità», segnala Monica Clemente.

Sono direzioni che in realtà le imprese stanno intraprendendo. «In Riso Scotti abbiamo installato un impianto di cogenerazione che parte da uno scarto del riso e lo recupera per produrre energia» esemplifica il supply chain director Luca Priori. L’azienda del settore alimentare si è mossa anche sullo scope 3, ridisegnando il network del trasporto del prodotto con l’obiettivo di recuperare efficienza. «Riducendo il numero di viaggi a parità di quantità trasportata abbiamo ottenuto un risparmio energetico del 10%». In realtà il progetto è partito da un’esigenza di riduzione dei costi, ma alla fine ha aumentato la sostenibilità. «Abbiamo implementato l’intermodalità, usando anche le ferrovie. E stiamo lavorando su carburanti alternativi». Per Caleffi Hydronic Solutions l’attenzione all’ambiente non riguarda solo i prodotti ma tutte le attività quotidiane in azienda; tra le varie iniziative, ad esempio, si è adottato un modello plastic free nelle aree di ristoro eliminando la plastica “usa e getta” e sostenendo l’economia circolare attraverso il recupero totale del film estensibile in polietilene e del cartone residuo degli imballaggi. Nei processi produttivi «recuperiamo il 100% degli sfridi dell’ottone, e il 98% di quelli dello stampaggio plastico» segnala De Magistris.

Le soluzioni di Quin per la supply chain estesa: previsioni di vendita, pianificazione e schedulazione della produzione, gestione degli acquisti

Stefano Rigonat, head of scm consulting di Quin.

Concludiamo con qualche informazione sugli strumenti che Quin mette a disposizione del mercato per digitalizzare e rendere sostenibile la supply chain. «Noi lavoriamo sempre su tre pilastri: processi, organizzazione delle persone, e soluzioni tecnologiche – sottolinea il ceo -. Se uno di questi tre pillar viene a mancare, i progetti sono più instabili e rischiano di non cogliere gli obiettivi. Ovviamente oggi i percorsi di digitalizzazione devono abbracciare i temi di sostenibilità»

Tra le soluzioni, il Sales & Operations Planning permette di definire obiettivi di vendita e produzione, mentre il Statistical Forecasting e il Collaborative Forecasting supportano una previsione condivisa e validata. Strumenti di Capacity Planning e gestione degli acquisti aiutano a garantire flessibilità nei tempi di consegna, anche di fronte a imprevisti di mercato, mentre software di schedulazione ottimizzano la produzione. Integrare soluzioni tecnologiche avanzate con l’uso di metodologie di analisi dati e intelligenza artificiale consente di ottimizzare ogni fase della supply chain estesa, favorendo una gestione proattiva e basata su dati predittivi. Gli strumenti di data analytics e machine learning di Quin offrono alle imprese la capacità di anticipare tendenze, mitigare i rischi e identificare opportunità di efficienza. Questa sinergia tra tecnologia e strategia permette alle aziende di raggiungere livelli di eccellenza operativa e sostenibilità, rafforzando la resilienza e la competitività nel mercato globale.














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