La supply chain? Ancora troppo fragile. I quattro consigli di McKinsey per renderla meno vulnerabile

di Alberto Falchi ♦︎ Le aziende hanno ridotto gli sforzi per irrobustire la supply chain. Il risultato? Scarsa digitalizzazione, per i programmi di schedulazione e programmazione avanzata (Aps) rimasti al palo; mancanza di visibilità oltre i fornitori di Tier 1; difficoltà a reperire talenti. Che fare? I quattro consigli di McKinsey

Negli ultimi anni la supply chain si è rivelata estremamente critica. Scarsità di microchip, blocchi dovuti al Covid ed embarghi derivanti dai conflitti, sempre più aziende hanno dovuto ripensare radicalmente la loro catena di approvvigionamento. Per renderla più stabile, sicura, meno dipendente da eventi di vario tipo, sia naturali sia geopolitici. Nonostante tanti sforzi, però, c’è ancora molto lavoro da fare. È quanto emerge dalla ricerca “Supply chains: Still vulnerable” condotta da McKinsey, che evidenzia come nonostante i progressi fatti da molte imprese, molte catene di approvvigionamento siano ancora fragili. Per vari motivi: pesano i programmi di pianificazione e programmazione avanzata della supply chain (Aps). Se infatti due terzi del campione stanno investendo in questa direzione per migliorare la robustezza della propria fornitura, solamente il 10% ha completato l’implementazione. Anche la visibilità su ogni aspetto della catena, considerata fondamentale è, in generale, calata, e questo nonostante le imprese siano chiamate a verificare che tutti gli attori della filiera rispettino gli standard ambientali e sui diritti umani. La sfida più grande, però, rimane quella dei talenti o, più correttamente, della difficoltà a reperirli: il 90% degli intervistati afferma che le proprie aziende non dispongono di talenti sufficienti per raggiungere gli obiettivi di digitalizzazione.

Cosa fare, quindi? Quattro le azioni da intraprendere secondo McKinsey: potenziare la digitalizzazione, implementare una strategia per reperire nuovi talenti, accelerare sull’intelligenza artificiale e sensibilizzare i manager di più alto livello.







Le aziende hanno investito sulla supply chain negli ultimi anni

Sebbene permangano alcuni problemi sulla catena di approvvigionamento, la situazione non è disastrosa e rispetto al passato sono stati fatti importanti passi in avanti. Secondo l’analisi di McKinsey, basata su un campione di 88 leader della catena di approvvigionamento globale in sette settori (beni di consumo/retail, life science, automotive/aerospace/defence, elettronica, edilizia, chimica, materie prime), il 73% degli intervistati ha adottato strategie di dual-sourcing, appoggiandosi quindi a più fornitori per ridurre l’impatto di eventuali interruzioni, mentre il 60% ha regionalizzato la propria supply chain.

Due terzi del campione, inoltre, hanno fatto progressi nell’implementazione degli Aps, i sistemi di pianificazione e programmazione avanzati. Sono strumenti considerati strategici per la digitalizzazione della supply chain, dal momento che consentono di pianificare con maggiore precisione e accuratezza e di reagire più rapidamente ed efficacemente agli imprevisti. Queste decisioni hanno anche consentito a molte aziende di ridurre la quantità di merci stoccate per sicurezza.

Incrementare il buffer degli inventari non è più la strategia più usate per ridurre i rischi nelle forniture. (Fonte: McKinsey). 

Se con lo scoppio della pandemia e la conseguente crisi della catena di approvvigionamento in tanti hanno aumentato provvisoriamente gli stock, rinunciando all’efficienza e alla riduzione dei costi, oggi questa tendenza è diminuita e solamente il 34% del campione afferma di avere un buffer di stock molto elevato (in precedenza, la percentuale era del 59%). Va anche sottolineato che il 6% del campione sostiene che avrebbe anche aumentato lo stock di merci a magazzino, ma non ha potuto farlo per carenza di budget.

Supply chain: servono più sforzi per renderla robusta

Se il Covid ha dato una grande spinta alla ristrutturazione delle catene di approvvigionamento, col tempo le aziende hanno iniziato a rilassare le loro iniziative, rallentando il ritmo del cambiamento. Cosa significa? Che da due anni a questa parte McKinsey ha notato che la percentuale di imprese che ha attivato strategie di dual-sourcing o di nearshoring è rimasto praticamente fermo. Parallelamente, si stanno appiattendo anche gli investimenti sulla digitalizzazione della supply chain, dopo la rapida accelerata vista fra il 2022 e il 2023. Sparita l’emergenza, sono anche state ridotte le iniziative per efficientare e rendere più robusta la catena di approvvigionamento. Anche gli investimenti fatti in digitalizzazione sono rimasti al palo: è vero che due terzi del campione hanno iniziato a integrare gli Aps, i programmi di pianificazione e programmazione avanzata della supply chain, ma allo stesso tempo solo una piccola percentuale afferma di averne completato l’adozione. Due i motivi che hanno portato le imprese a limitare queste iniziative: il 33% del campione afferma di non avere casi d’uso che giustifichino l’introduzione degli Aps, mentre un 15% sostiene che queste soluzioni non abbiano portato il valore che si presumeva.

McKinsey fa notare un aspetto peculiare delle strategie delle imprese: il rallentamento degli investimenti sul potenziamento della supply chain sarebbe comprensibile se fossero stati completati i programmi di digitalizzazione e ristrutturazione. Ma non è così: «i rispondenti al sondaggio sono ben consapevoli delle limitazioni nei loro sistemi di gestione della supply chain. Le aziende continuano a migliorare la comprensione dei fornitori diretti, per esempio. La percentuale di rispondenti che afferma di avere una buona visibilità sui livelli più profondi della supply chain è diminuita di sette punti percentuali, segnando il secondo calo consecutivo su base annua in questa misura», si legge nel report.

Gli investimenti fatti in digitalizzazione sono rimasti al palo: è vero che due terzi del campione hanno iniziato a integrare gli Aps, i programmi di pianificazione e programmazione avanzata della supply chain, ma allo stesso tempo solo una piccola percentuale afferma di averne completato l’adozione. (Fonte: McKinsey).

Supply chain: la trasparenza è ancora un obiettivo lontano. E sui talenti…

Le regole UE impongono alle aziende un maggior controllo sui partner di filiera, in particolare sulle politiche ambientali e di inclusione. La maggior parte delle aziende, però, è ben lungi dall’avere visibilità sulle attività di tutti i fornitori. Solo il 30%, infatti, dichiara di avere visibilità sulle attività dei fornitori oltre il Tier 1, e addirittura c’è un 10% che ammette di non avere alcuna visibilità, nemmeno sui fornitori Tier 1. Andando a scavare più a fondo, secondo i risultati del sondaggio di McKinsey solamente il 9% del campione è a norma con le leggi.

La situazione, insomma, non è rosea. E i motivi sono molti. Il principale è la carenza di talenti che possa aiutare le imprese a portare a termine le iniziative di digitalizzazione della supply chain. Un problema che affligge il 90% delle imprese e che sembra estremamente difficile da risolvere: questa percentuale è rimasta invariata dal 2020, infatti. Ma questo non è l’unico freno: meno di un’azienda su tre (30%) ha dei vertici che comprendono i reali rischi e criticità della catena di approvvigionamento, anche perché questo tema è raramente dibattuto fra i manager di più alto livello. E sotto questo profilo la situazione sta peggiorando: nel 2023 la metà delle aziende coinvolte dall’indagine affermava di produrre regolarmente report sulle criticità della supply chain, mentre nel 2024 la percentuale è calata al 25%.

La visibilità sull’intera supply chain è un problema che affligge la maggior parte delle aziende. Solo il 30% ha visibilità sui fornitori oltre il Tier 1. (Fonte: McKinsey). 

Come reagire? La strategia a quattro punte proposta da McKinsey

Il report di McKinsey si conclude con quattro consiglio per rendere più robusta la supply chain e garantire più visibilità lungo tutte le fasi.

  1. Investire sui dati: molte aziende si bloccano sui progetti di digitalizzazione a causa di problemi di dati. McKinsey suggerisce di adottare la regola 80/20, implementando gli strumenti digitali una volta che la maggior parte dei dati è disponibile, con processi in atto per colmare le lacune in seguito. Anche se nessun intervistato con sistemi Aps implementati ritiene che i propri dati siano perfetti, molti sono soddisfatti delle prestazioni dei loro nuovi sistemi. Questo, secondo McKinsey, dimostra che non è necessario attendere la perfezione dei dati per procedere con la digitalizzazione.
  2. Affrontare la sfida dello sviluppo dei talenti: la carenza di talenti digitali è un ostacolo significativo per la trasformazione della catena di approvvigionamento. Dopo essersi inizialmente rivolte al mercato per colmare le lacune di talenti, le aziende si stanno ora concentrando su programmi di formazione e sviluppo dei talenti interni. Questo approccio a lungo termine può essere più efficace per garantire un approvvigionamento sostenibile di competenze.
  3. Accelerare l’adozione dell’IA: l’IA offre nuove opportunità nella pianificazione, nelle operazioni e nella gestione dei rischi della catena di approvvigionamento. Gli strumenti di IA possono automatizzare l’analisi di più origini dati, fornire sistemi di allerta precoce per i rischi potenziali e migliorare la pianificazione della domanda.
  4. Colmare il divario nel board: i leader della catena di approvvigionamento devono educare e informare l’alta dirigenza sulle sfide della catena di approvvigionamento. Le best practice includono aggiornamenti regolari al Cda sui rischi, l’integrazione dell’analisi dei rischi nei processi di vendita e pianificazione operativa e la pubblicazione di report sulle criticità.













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