Se in Italia molte aziende hanno iniziato a sperimentare nuovi modelli di lavoro agile come i quattro giorni lavorativi, nelle ultime settimane alcune imprese stanno facendo marcia indietro sullo smart working. Una strada che potrebbe avere un impatto sensibile sui lavoratori. Infatti, come reagirebbero i dipendenti se altre imprese dovessero eliminare definitivamente il lavoro da remoto o ridurlo sensibilmente?
Secondo l’analisi della società di recruiting Hays Italia, con il contributo dello studio legale Daverio&Florio, condotta su professionisti che attualmente beneficiano del lavoro agile, solo per il 14% di loro non sarebbe un problema, mentre tre quarti inizierebbero a cercare una nuova occupazione (68%, con le donne al 72%) o lascerebbero immediatamente il proprio lavoro anche senza avere un’alternativa (7%). I più critici sono le donne, hanno un’età tra i 25 e i 34 anni, lavorano in aziende di grandi dimensioni e coprono posizioni junior o intermedie.
Un segnale importante di “malcontento”
Questo non significa che tutti lasceranno la propria azienda, ma è un segnale importante di “malcontento” a cui manager e imprenditori devono prestare attenzione. Probabilmente le uniche due motivazioni che potrebbero convincere i lavoratori ad accettare la fine dello smart working sono un buon aumento di stipendio (per gli uomini) e più flessibilità oraria rispetto alla media (per le donne). Per molti intervistati disposti a cambiare idea, infatti, l’aspetto economico resta un fattore chiave: per adeguarsi alla fine dello smart working vorrebbero un aumento medio del proprio stipendio di circa il 30%, e considerando il salario netto medio italiano è di circa 7mila euro; è questo il valore che attribuiscono a un peggioramento del loro equilibrio tra vita privata e lavoro. Un costo per molte aziende insostenibile.
«Dalla survey emerge chiaramente come ormai lo smart working sia uno dei primi elementi valutati da chi cerca lavoro, e le aziende che decidono di tornare alla modalità classica dovranno gestire attentamente e con cautela il passaggio – afferma Alessio Campi, People & Culture director di Hays Italia – Soprattutto nei confronti dei dipendenti attuali, almeno nel breve periodo: solo una piccola parte sarebbe disposta a restare nell’attuale azienda in assenza di lavoro da remoto, tanto che in maniera provocatoria quasi 2/3 degli intervistati ritiene ormai lo smart working un diritto di fatto».
Lo smart working è un diritto ormai acquisito o deve essere sempre considerato un benefit concesso dalle aziende?
Ma al di là della reazione degli italiani al possibile ritorno in ufficio, c’è anche l’aspetto giuridico. Oggi lo smart working è un diritto ormai acquisito o deve essere sempre considerato un benefit concesso dalle aziende? Secondo l’indagine svolta da Hays Italia, le opinioni tra i lavoratori sono divergenti: da un lato chi già lo ritiene un diritto perché è entrato nelle abitudini dei lavoratori (22%) o chi pensa che, pur non essendo attualmente un diritto sancito normativamente, dovrebbe diventarlo (45%); dall’altro, invece, chi dichiara che la sua concessione o meno spetti solo all’azienda, in base alla propria struttura organizzativa e alle esigenze operative (31%).
Per approfondire il tema Hays Italia ha coinvolto gli avv.ti Simone Brusa e Olindo Genovese dello studio Daverio&Florio, che hanno così commentato: «Dal punto di vista giuridico il lavoro agile deve essere necessariamente frutto di un accordo tra le parti e non è quindi un diritto. D’altra parte, è innegabile che tanti lavoratori – che negli anni passati hanno fruito dei benefici di un lavoro svolto (almeno in parte) da casa – percepiscano tale possibilità come un tratto oramai caratterizzante la propria attività lavorativa. La norma del 2017 era nata non solo per agevolare la “conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, ma anche per “incrementare la competitività” delle aziende, lasciando al datore di lavoro ampia libertà nel costruire i modelli organizzativi».
Il confronto
Dal punto di vista generazionale si vede come ci siano delle differenze sostanziali tra gli over 50 e i 25-34enni: per i primi è meno problematico rientrare in ufficio (34%) rispetto ai più giovani (5%), così come i più “anziani” considerano lo smart working un benefit e non un diritto (49% vs 25%). Le differenze sono sensibili anche nel confronto di genere. Solo per il 10% delle donne, infatti, ritornare in azienda non rappresenterebbe un problema, contro il 16% degli uomini. E in caso di eliminazione dello smart working ben il 73% inizierebbe a cercare un nuovo lavoro (uomini 63%). Ma se per gli uomini lo stipendio è l’unico aspetto che potrebbe compensare il disagio della mancanza di lavoro agile, per le donne è senza dubbio la maggiore flessibilità oraria rispetto alla media.
Guardando alla dimensione dell’azienda, chi lavora in una piccola impresa è meno critico nei confronti del rientro (per il 22% non sarebbe un problema), rispetto ai dipendenti di aziende di medie dimensioni (16%), grandi (12%) e multinazionali (10%).