L’IA ruba posti di lavoro? Ma non diciamo sciocchezze! Anzi, è vero il contrario: creerà lavoro in più. Oltre ad aumentare la ricchezza. Potremmo sintetizzare così quello che emerge da una ricerca condotta da EY e Fastweb, secondo la quale a tutti gli effetti la domanda di lavoro crescerà sino al 2030, proprio grazie all’intelligenza artificiale. Un incremento della domanda che sarà trainato sia dalla necessità di trovare persone specializzate in questa tecnologia, sia perché secondo l’analisi l’IA non prenderà il sopravvento, anzi: sarà «importante mantenere la supervisione umana sui processi per evitare dipendenza dall’IA e rischi di perdita di controllo», si legge nel report.
Sono aspetti che su Industria Italiana sottolineiamo da tempo, perché questi discorsi sono già stati affrontati in passato. Per esempio, quando l’automazione industriale e la robotica hanno iniziato la loro massiccia diffusione. Anche lì la tecnologia spaventava tanti luddisti, timorosi per l’impatto del nuovo sull’occupazione. Ma ci sono stati solo benefici: le macchine oggi fanno i lavori più pericolosi e a basso valore aggiunto, permettendo agli operai di lavorare su aspetti più stimolanti, rischiando molto meno incidenti. E così sta succedendo per l’intelligenza artificiale, che assiste, ma non agisce autonomamente. La percezione della persona media è quella di una tecnologia disumanizzante, che permetterà alle macchine di prendere il sopravvento, rubando letteralmente lavoro ai colletti bianchi. Ma, come dimostra anche l’analisi di EY e Fastweb, sta accadendo il contrario. E, aggiungiamo noi, l’IA non solo porterà più lavoro, ma aiuterà anche a colmare rapidamente il gap di competenze che oggi rende difficile far incontrare la domanda e l’offerta. Se queste hard skill possono essere maturate con lo studio, più difficile invece farlo con le soft skill, che sono ancora molto ricercate dalle imprese, e che sempre più faranno la differenza nei prossimi anni. Attenzione però: non basta “comprare” un software di IA per avviare una versa trasformazione aziendale. Sarà fondamentale affiancare gli investimenti sull’IA ad altri mirati a migliorare governance, competenze e infrastrutture IT per cogliere a pieno i benefici.
Intelligenza artificiale e imprese italiane: il contesto
Fra le principali preoccupazioni relative alla massiccia adozione e diffusione dell’intelligenza artificiale ci sono timori sulla privacy, il problema delle allucinazioni (le risposte errate, inventate di sana pianta dall’IA) e, soprattutto, il timore che questa tecnologia possa stravolgere il mondo dell’occupazione, sostituendo letteralmente le persone. Se sul tema della privacy e delle allucinazioni c’è ancora da lavorare, sul fronte dell’occupazione c’è una buona notizia: l’IA non avrà un impatto negativo sulla domanda di lavoro.
Va anche detto che le competenze oggi presenti in azienda non saranno sufficienti e le imprese dovranno investire in programmi di reskilling e upskilling del personale se vogliono cogliere i benefici dell’IA. Per far acquisire ai lavoratori le competenze necessarie, tecniche ma non solo: le soft skill, infatti, saranno sempre più importanti.
Da quanto emerge dalla ricerca “Intelligenza Artificiale e trasformazione delle organizzazioni e del lavoro. Sfide e opportunità in otto settori” condotta da EY e Fastweb, sono tante le imprese italiane che si sono lanciate fin da subito sul treno dell’IA. Una cosa non scontata in Italia, Paese tradizionalmente più lento nell’adottare le nuove tecnologie rispetto ad altri. Va anche detto che la maggior parte dei programmi avviati a oggi non hanno ottenuto un grande successo: una percentuale compresa fra il 60% e l’80% di queste iniziative è stata inefficace nell’integrare l’IA in maniera strutturala all’interno di tutti i processi. Il tasso di fallimento dei progetti di IA è quasi il doppio rispetto a quello di progetti simili per tecnologie IT aziendali dello scorso decennio. Tre le principali sfide: la carenza di competenze interne; il costante crescere degli attacchi informatici, che potrebbero prendere di mira anche i dati usati per addestrare le IA, oltre che i modelli di IA stessi; la resistenza da parte dei lavoratori, con il 77% di quelli italiani che si sentono minacciati, temendo di venire sostituiti dagli algoritmi. I bias negativi della forza lavoro possono ridurre la propensione ad usare strumenti di IA, e dunque disincentivarne l’adozione da parte delle organizzazioni. Tali bias sono dovuti sia alla paura dei lavoratori di essere sostituiti dalle macchine intelligenti sia alla mancanza di fiducia verso gli output dell’IA, dal momento che è impossibile ricostruire i ragionamenti sottesi alle soluzioni proposte.
Partiamo dall’ultimo, che in realtà è un mito, almeno secondo lo studio di Fastweb ed EY, che invece prevede un aumento dell’occupazione entro il 2030 che oscilla fra l’1,1% nel manifatturiero e del 5,8% in ambito finanziario/assicurativo. Come intuibile, sono i settori con maggiore maturità digitale quelli in cui aumenterà maggiormente la richiesta di persone. Finanza e assicurazioni, come detto, ma anche ICT e servizi digitali. Ma l’IA porterà anche a una crescita in quei settori che saranno maggiormente trasformati dal digitale nei prossimi anni: istruzione e formazione (+2,1%), comunicazione e media (4,8%), sanità (3,1%) e Pubblica Amministrazione (3,7%). Più modesta, invece, la crescita di posizioni lavorativi in settori più tradizionali, quelli maggiormente impattati dall’automazione, come il manifatturiero (1,9%) e il retail e la distribuzione (1,1%).
Le competenze Ict sono quelle più ricercate dalle imprese
Come già detto, uno dei principali scogli all’adozione dell’intelligenza artificiale in azienda sono i timori sul fronte della sicurezza informatica. Timori che in settori altamente regolamentati sono comprensibilmente più elevati, anche in virtù delle nuove normative UE come Nis 2 (entrata da pochissimo in vigore) e Dora, che impongono specifici obblighi di conformità alle imprese coinvolte.
Non stupisce, quindi, che gli specialisti di cybersecurity siano fra le figure più ricercate, soprattutto in settori come la sanità e quello bancario. Nell’ambito Ict, invece, cresce la richiesta di esperti di sicurezza dei dati, figure parallele a chi si occupa di cybersecurity, e più specializzate nell’ambito dei modelli di IA. Cresce anche la richiesta di data scientisti e di specialisti in cloud computing, perché proprio il cloud è il principale abilitatore dell’IA. Infine, le sempre più stringenti norme europee come l’AI Act stanno spingendo la domanda di responsabili di privacy e di conformità.
Dove vai se lo soft skill non le hai?
Le competenze tecniche sono inevitabilmente quelle più ricercate, ma questo è un trend che va avanti da tempo: pochi i laureati in materie Stem, tante le aziende che si contendono queste persone. Ma lauree e master non sono sufficienti: le aziende sono alla ricerca di personale che abbia anche specifiche soft skill. La capacità di collaborare in maniera efficace, prima di tutto, ma anche l’adattabilità e il pensiero critico, doti cruciali per integrare efficacemente l’IA con le tecnologie esistenti e valorizzare le ore lavorative tramite automazione di task.
L’IA porta più ricchezza
Secondo l’analisi di Fastweb ed EY, l’adozione diffusa dell’IA può produrre fino a 40 miliardi di valore aggiunto e aumentare l’incidenza dell’economia dei dati sul PIL italiano fino all’8% entro il 2030. Ciò è dovuto anche all’atteso il miglioramento della performance dei lavoratori, grazie ad un aumento medio dell’efficienza del 40% per diversi profili professionali, a patto che l’adozione di IA sia accompagnata da un adeguato processo di onboarding, dalla riconfigurazione dei ruoli e dalla creazione di una cultura della responsabilità aziendale. La produttività, infatti, tende a ridursi in contesti di lavoro ibridi (che integrano anche agenti artificiali) se il lavoratore accetta passivamente gli output dell’IA senza esercitare le proprie capacità critiche.
Governance, competenze, infrastrutture: le tre chiavi per una strategia di IA di successo
A quanto emerge dallo studio, sono tre i meccanismi che possono facilitare l’adozione dell’IA da parte delle aziende, garantendo l’uso efficace e sicuro delle nuove tecnologie. Il primo è la governance: secondo l’analisi, le imprese dovrebbero puntare su un modello di governance ibrido, dove la sperimentazione bottom-up delle soluzioni di IA da parte del lavoratore si combina con una leadership top-down in grado di supervisionare l’uso dell’IA. Insomma, non strumenti e processi imposti dall’alto, ma una maggiore collaborazione e agilità, così da poter sperimentare rapidamente le soluzioni più efficaci.
Un altro aspetto su cui devono premere le aziende è quello dell’upskilling e del reskilling del personale. In pratica, veri e propri corsi dove si addestrano le persone all’uso dell’IA ma focalizzati non tanto sull’aspetto tecnico, quanto allo sviluppo e diffusione di competenze di literacy e cognitivo-comportamentali relative all’utilizzo consapevole dell’IA.
Ultimo aspetto chiave è quello infrastrutturale e di sicurezza: per un’implementazione di IA di successo è fondamentale avere una solida infrastruttura cloud ma anche investire in soluzioni di cybersecurity, anche basate su intelligenza artificiale, per garantire che i modelli e i dati siano protetti adeguatamente.