Giovani, basta essere passivi esecutori di compiti: è ora di puntare sull’imprenditorialità scientifica

di Piero Formica* ♦︎ Da oltre mezzo secolo è in caduta la quota dell’occupazione industriale. I giovani mirano a essere oggi ideatori imprenditoriali e dalla ricerca di un posto di lavoro si passa alla creazione di attività imprenditoriali. Quali? Quelle che abbattono i confini concettuali per trasferire nella nostra vita quotidiana le scoperte scientifiche

Confcooperative informa che sono state create dai giovani entro i 29 anni di età 144 mila aziende, prevalentemente in settori innovativi e tecnologici. Digitalizzazione, transizione energetica e climatica sono trend che preannunciano una primavera imprenditoriale nei settori di frontiera dove la scienza incontra l’imprenditorialità scientifica. Rispetto all’Unione Europea, negli Stati Uniti questa fioritura è più abbondante, essendo più consistente (2,3 contro l’1,2 percento del PIL) l’impegno dei privati nella Ricerca & Sviluppo, mentre la spesa pubblica per la R&S è pari a circa lo 0,7 percento del Pil in entrambi i casi. Il Financial Times riporta che «i tre maggiori investitori privati degli USA in R&S sono passati da Ford, Pfizer e GM all’inizio del millennio ad Alphabet, Meta e Microsoft oggi (nel frattempo, anche Intel figurava tra i primi tre). Nell’UE, erano Mercedes-Benz, VW e Siemens allora, e sono VW, Mercedes-Benz e Bosch oggi».

Digitalizzazione, transizione energetica e climatica sono trend che preannunciano una primavera imprenditoriale nei settori di frontiera dove la scienza incontra l’imprenditorialità scientifica. Fonte: Steffen, W., W. Broadgate, L. Deutsch, O. Gaffney, and C. Ludwig. 2015. The trajectory of the Anthropocene: the great acceleration. Anthropocene Review 2: 81-98. Carl Folke et al., Beijer Discussion Paper Series No. 272. Our Future in the Anthropocene Biosphere: Global sustainability and resilient societies, 2020.

I giovani si rivolgono all’imprenditorialità scientifica…

Le idee generano imprenditorialità scientifica se non finiscono intrappolate nella cosiddetta valle della morte. È qui che «il divario di finanziamento si verifica tra il punto in cui i ricercatori esauriscono le sovvenzioni per la ricerca e il punto in cui le tecnologie sono sufficientemente valide da attrarre capitale di rischio. Questo divario rappresenta una seria minaccia per le prospettive economiche del Regno Unito come sede di aziende innovative».







Così si è espressa Irene Tracey, rettrice dell’Università di Oxford. All’origine del divario sta il riposo del Made in Science sotto una coltre di oblio. Scrivendo alla duchessa d’Abrantès, Honoré de Balzac (1799-1850) commentava che le frasi immutabili sugli affari umani costituiscono una scienza tradizionale, e nessuno ha il potere di aggiungere un pizzico di arguzia. Sarebbe un indicatore di vivacità intellettuale valorizzare il Made in Science (MS) oltre al brand Made in a Country/City (MC) che rappresenta il valore economico di un luogo specifico, ovvero la gallina dalle uova d’oro alimentata dall’innovazione incrementale.

Da oltre mezzo secolo è in caduta la quota dell’occupazione industriale. . (Fonte: Oecd)

MC si concentra sull’identità culturale, la vocazione territoriale, le tecniche tradizionali e i materiali locali. MS sottolinea la natura universale della conoscenza scientifica, la collaborazione internazionale e il suo potenziale per affrontare le sfide globali.

…per poi procedere lungo un percorso ristretto

C’è poi da percorrere uno stretto sentiero. «Utilizzando i dati su 45 milioni di articoli e 3,9 milioni di brevetti, si scopre che articoli e brevetti hanno sempre meno probabilità di rompere con il passato in modi che spingano la scienza e la tecnologia verso nuove direzioni. Questo declino della dirompenza è dovuto a un restringimento nell’uso delle conoscenze precedenti». Questo è il commento comparso su Nature, la rivista scientifica multidisciplinare leader al mondo, nell’articolo “Papers and patents are becoming less disruptive over time”, a firma di Michael Park, Erin Leahey e Russell J. Funk.

Le imprese scientifiche si nutrono della vitalità della ricerca scientifica. Il Santa Fe Institute, che studia la scienza dei sistemi complessi, teme che il motore della scienza possa restare senza carburante (nuove idee), a causa:

  • Dell’inerzia istituzionale e della burocrazia che impone eccessivi oneri amministrativi.
  • Della carenza di finanziamenti a lungo termine che scoraggia rischiosi progetti visionari.
  • Della peer review e del pensiero conservatore che esigono il conformarsi al punto di vista dominante circa la direzione della scienza, così soffocando le opinioni dissenzienti e imbrigliando le idee rivoluzionarie.
  • Delle fondamenta educative deboli in quanto rifiutano il pensiero critico per affidarsi a test standardizzati che scoraggiano la creatività, riducendo le risorse destinate agli studenti da impiegare per attivare la loro capacità di mettere in discussione le ipotesi comunemente accettate e generare nuove idee.

I limiti del consumismo: la “Legge del minimo” non può essere derogata

L’aspetto imprenditoriale della trasformazione delle scoperte scientifiche in prodotti o servizi commerciali sottolinea l’acume aziendale, l’innovazione e l’assunzione di rischi impliciti nel portare idee scientifiche sul mercato. Queste doti nell’UE non sono così spiccate come lo sono quelle legate a filo doppio al consumismo, come mostra questa il seguente grafico pubblicato sul Financial Times:

L’aspetto imprenditoriale della trasformazione delle scoperte scientifiche in prodotti o servizi commerciali sottolinea l’acume aziendale, l’innovazione e l’assunzione di rischi impliciti nel portare idee scientifiche sul mercato.

La botte dell’imprenditorialità scientifica quante imprese può contenere? il chimico tedesco Justus von Liebig (1803-1873) progettò un barile le cui doghe avevano altezze diverse. La doga più corta determina la quantità di liquido che può essere contenuta nel fusto. Questa è la “Legge del minimo”.

La botte di Liebig

Allo stesso modo, l’imprenditorialità scientifica è subordinata alla disponibilità della risorsa più scarsa. Non tutte le doghe della nostra botte sono tangibili, come la terra, il lavoro e il capitale. Qual è la doga più corta? È quella intangibile il cui nome è consumismo? Le aziende orientate al consumismo migliorano ciò che già esiste. I consumatori sono generalmente più a loro agio con prodotti e servizi che sono loro familiari e più facili da adottare. Alla nascita, l’impresa scientifica assomiglia a un brutto anatroccolo che poi diventerà un bellissimo cigno. Purtroppo, la familiarità con ciò che è noto e il desiderio di procurarsi beni di consumo, tutti e subito, sono maledizioni che oggi soffocano il brutto anatroccolo che domani sarebbe stato un bellissimo cigno, un’impresa pronta a portare gli sviluppi scientifici nella nostra vita quotidiana, così rivelando opportunità di innovazione dalle scoperte che gli scienziati fanno del mondo naturale.

L’industria che risponde alle richieste del modello consumistico di vita introduce interventi migliorativi, ma non è più una robusta leva occupazionale. Agendo sui valori intangibili dell’imprenditorialità scientifica, i giovani potranno aspirare al ruolo di attivi ideatori imprenditoriali anziché di passivi esecutori di compiti. È questa un’azione che esige un salto culturale della società.

* Piero Formica, Professore di Economia della Conoscenza, è Thought Leader e Senior Research Fellow dell’Innovation Value Institute presso la Maynooth University (Irlanda) e professore presso il MOIM—Open Innovation Management, Università di Padova. Il professore ha vinto l’Innovation Luminary Award 2017, assegnato dall’Open Innovation Strategy and Policy Group sotto l’egida dell’Unione Europea “per il suo lavoro sulla moderna politica dell’innovazione”. Nel 2024 ha ricevuto il Premio Magister Peloritanus, rilasciato dall’Accademia Peloritana dei Pericolanti, fondata dall’Università di Messina nel 1729, “per l’innovazione e l’imprenditorialità”. Questi i suoi libri più recenti: One Health: Transformative Enterprises, Wellbeing and Education in the Knowledge Economy (2023), Sciencepreneurship: Science, Entrepreneurship and Sustainable Economic Growth (2023), entrambi pubblicati da Emerald Publishing Group, e Intelligenza umana e intelligenza artificiale: Un’esposizione nella Galleria della Mente (2024), Edizioni Pendragon.














Articolo precedenteMarco Gay (Unione Industriali Torino): «Puntiamo sul nostro vero patrimonio, l’intelligenza industriale»
Articolo successivoFederchimica: nel 2025 atteso modesto recupero della produzione (+1,2%)






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui