Quali indirizzi strategici per l’Intelligenza Artificiale nelle aziende italiane? Archiva Group ha riflettuto a lungo sul tema. Con Fastweb, Plenitude, Sap e…

di Barbara Weisz ♦︎ Archiva Group propone software e sistemi per gestire i dati aziendali, con focus anche su HR, Acquisti, Supply Chain, contrattualistica e altri importanti aspetti. Tutto viene fatto con i massimi investimenti possibili in Intelligenza Artificiale. Anche da qui, la riflessione al centro del suo recente grande evento a Milano: Change Up!. Sul palco hanno dato la loro visione numerosi esperti e pensatori. Le preoccupazioni di Paolo Mieli, che cita i film WarGames e Oppenheimer. Le riflessioni sull'AI Act dell'avvocato Benedetto Santacroce. Il cloud per l'IA di Fastweb spiegato da Domenico Impelliccieri. Il focus sul capitale umano secondo Carla Masperi, ceo Sap Italia. Il ruolo dell'IA nell'energia spiegato da Giorgia Molajoni di Plenitude

L‘intelligenza artificiale per le imprese è una grande occasione di recupero di competitività, ma la cosa fondamentale è adottarla in modo mirato. Anzi, consapevole. Consapevolezza di cosa? Dell’impatto che la tecnologia ha sull’impresa, ma anche sulla società e sulle persone. Significa porsi domande più ampie, sia perché ci sono norme che impongono valutazioni del rischio anche sociale dei prodotti che vengono immessi sul mercato, sia perché siamo di fronte a una tecnologia che produce cambiamenti sociali profondi. È stato questo il tema al centro dell’edizione 2024 di Change Up, l’evento organizzato annualmente da Archiva Group per i decisori aziendali: “l’intelligenza che muove l’impresa, la società e l’uomo“. Come di consueto, spazio a sessioni tematiche legate agli aspetti tecnici dell’implementazione dell’IA nelle imprese e ai prodotti della società di consulenza, servizi e tecnologie digitali guidata da Giuliano Marone.

Ma il dibattito della sessione plenaria si è concentrato sui grandi temi legati allo sviluppo dell’IA, con l’obiettivo di sensibilizzare le imprese al contesto di quella che non a caso di chiama “quarta rivoluzione industriale“. In materia di impatto sulle imprese, il focus dev’essere sui processi aziendali, per cui bisogna fare analisi puntuali del business che consentano scelte effettivamente abilitatrici di crescita. «Se non riuscite a utilizzare l’IA per migliorare i vostri processi, non fate altro che digitalizzare gli sprechi», sintetizza il founder e ceo di Archiva, Giuliano Marone.







Passando alle persone, coniugando il tema a livello aziendale, la ceo di Sap Italia, Carla Masperi, sottolinea l’esigenza di interventi «di reskilling, upskilling, ma anche di creazione di nuove competenze». Le imprese, però, nei confronti di dipendenti, stakeholder, territorio, sono chiamate a definire anche aspetti più generali, ad esempio etici, legali, di impatto sociale. «Devono affrontare i progetti di implementazione dell’IA in modo propositivo ma anche con spirito critico, e riuscire a valutare cosa è giusto e cosa è sbagliato», sintetizza Samuele Fini, sales director di Archiva Group. Questo come vedremo richiede competenze non solo tecniche o economiche.

Ad aprire i lavori di questa edizione di Change Up Walter Riviera, AI technical leader Emea di Intel Corporation.

E siamo all’ultimo dei tre macro ambiti analizzati: l’impatto sulla società. C’è un primo livello di consapevolezza che riguarda la portata della sfida. Sollecitata da una domanda di Walter Riviera, AI technical leader Emea di Intel Corporation, che ha aperto i lavori con un monologo sull’IA, la platea in stragrande maggioranza indica di ritenere che l’intelligenza artificiale avrà sulla società un impatto più ampio di Internet. E ci sono poi invece le riflessioni su come sviluppare e governare il cambiamento. L’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli propone una riflessione sul momento storico in cui avviene la rivoluzione dell’IA, caratterizzato da guerre in Europa e ai suoi confini, e sul ruolo sempre più incisivo che le tecnologie hanno nei conflitti. Cita il film vincitore dell’Oscar Oppenheimer, che ripercorre la corsa all’atomica nel corso della Seconda Guerra Mondiale, per sottolineare la responsabilità di chi realizza lo sviluppo tecnologico o lo applica per produrre merci o servizi. Ed esprime una considerazione che potremmo definire generazionale: «è un bene che sia l’attuale generazione adulta a governare questo fenomeno rivoluzionario. È vero che per lo sviluppo tecnologico sono fondamentali i giovani, ma mi preoccuperebbe se a decidere del futuro dell’IA fosse il ragazzino di WarGames».

Approfondiamo questi tre livelli di sfida che l’IA pone a imprese, persone e società attraverso gli spunti offerti dal panel di speaker di Change Up 2024, che è patrocinato da Andaf Lombardia (associazione nazionale direttori amministrativi e finanziari), Uninfo (ente Uni per le tecnologie informatiche) e Comune di Milano. Hanno introdotto i lavori Walter Riviera, AI technical leader Emea di Intel Corporation, il sales director di Archiva Group Samuele Fini e Layla Pavone, head of innovation technology and digital transformation board del Comune di Milano. Benedetto Santacroce (Santacroce & Partners) e Luciano Quartarone, ciso & dpo di Archiva Group, hanno affrontato gli apsetti giurisprudenziali in particolare legati alla compliance con l’IA Act e le normative europee. Carla Masperi, amministratore delegato di Sap, Giorgia Molajoni, digital, information technology & communication officer di Plenitude, e Domenico Impelliccieri, head of Fast Cloud Ict & Sap Services di Fastweb hanno invece declinato le più immediate sfide per le imprese. E Paolo Mieli, che oltre a essere giornalista è anche uno storico, ha proposto una riflessione sul contesto internazionale e sulle sfide epocali che pone alla classe dirigente.

Mieli: la rivoluzione digitale in tempo di guerra stimola la responsabilità della classe dirigente

Paolo Mieli ha citato l’esempio di due film per spiegare la sua visione sull’IA. WarGames, 1983, con Matthew Broderick, come protagonista, e Oppenheimer, 2023, diretto da Christopher Nolan.

La riflessione di fondo sulla portata storica della rivoluzione digitale viene proposta attraverso due celebri film. WarGames, che nel 1983 rappresentò il rischio di guerra nucleare sventato dalla decisione di un supercomputer e da un giovane nerd. E Oppenheimer, la storia della realizzazione della bomba atomica a Los Alamos durante la Seconda Guerra Mondiale e del successivo processo allo scienziato. «Viviamo un’epoca di confine, con uno scenario paragonabile a quello del grande salto nucleare del 1945» esordisce, per poi rivolgersi alla platea: «voi siete le persone che, ognuna nel suo segmento, devono controllare il salto al futuro coniugandolo con il tema del rischio. Il vero rischio è quello in cui la decisione passa a un’entità non umana». In parte questo sta già avvenendo: i programmi dotati di intelligenza artificiale selezionano curriculum, forniscono risposte, elaborano analisi. Ma sempre sulla base di dati e di strutture logiche precise, che rendono le “decisioni” dell’IA il più possibile prevedibili.

Il confine, però, è a portata di mano. Lo scenario che vede come decisivo l’intervento dello studente di WarGames, come detto, non suona particolarmente rassicurante. Il rapporto con questo rischio è il motivo per cui di intelligenza artificiale si occupano i governi e persino la Santa Sede. «L’esperienza di Oppenheimer dimostra che questo rischio si può correre. La bomba atomica è l’unica esempio nella storia di un’arma che è stata usata una vota sola». Ma perché, come nel caso dell’atomica, l’umanità si trattenga, è determinante che il rischio sia governato correttamente, ovvero che a decidere siano persone umane responsabili. «Questo è il grande compito che spetta a voi. Competere, correndo i rischi del caso, ma trovare un momento unificante di contatto quando si sta per superare quel confine. Ed è la generazione che ho davanti che ha questo compito. È corretto il tema dei giovani, che sono necessari per sviluppare la tecnologia. Ma siete voi, per i prossimi dieci anni, ad avere questa responsabilità. Ed è un bene, mi preoccuperebbe se il salto portasse quel ragazzino di War Games in competizione perché più veloce. La cosa importante è che questa fase resti in mano alla vostra generazione». E il fatto che questa rivoluzione avvenga in tempo di guerra, «ci rende più consapevoli di questi rischi».

Fra l’AI Act e la proposta Onu di una governance globale, le imprese devono preoccuparsi della compliance normativa

Secondo Benedetto Santacroce il contesto normativo dell’AI Act è sfidante e comporta l’esigenza della consapevolezza sull’entità del cambiamento in atto.

Proprio sul concetto di rischio si basa la legge europea sull’intelligenza artificiale, l’AI Act. Molto in sintesi: con poche eccezioni, non stabilisce quali applicazioni di IA sono o non sono permesse o vietate in assoluto, il criterio è il rischio sociale determinato dall’utilizzo che ne viene fatto. Esempio emblematico: la biometria non è vietata, ma non si può utilizzare per il riconoscimento automatico in luoghi pubblici. Le regole dell’AI Act identificano quattro diversi livelli di rischiosità delle applicazioni di IA, con le relative prescrizioni.

Benedetto Santacroce, avvocato tributarista e docente universitario oltre che titolare dell’omonimo studio, esprime una critica che spesso dal mondo delle imprese viene rivolta alla Commissione sull’opportunità di legiferare in materia di IA. Innanzitutto, «mettiamo una norma che disciplina una tecnologia in forte divenire». In secondo luogo, non è condivisa dai competitor internazionali, mentre invece «il gruppo consultivo sull’IA delle Nazioni Unite auspica regole comuni». Infine, la cornice di regole prevista dall’AI Act è troppo complessa. La buona notizia, per le imprese, è che tendenzialmente che le parti dell’AI Act che le riguardano sono comprese nei livelli di rischio più bassi. Secondo Santacroce, «il messaggio forte che arriva all’impresa è l’esigenza di fare un percorso sempre integrato in un determinato contesto».

«Il Regolamento ha come obiettivo la tutela delle persone» aggiunge Luciano Quartarone, ciso & dpo Archiva Group. Il quale sottolinea un aspetto: «la legge europea fornisce una definizione del rischio che si discosta da quella proposta fino a questo momento per esempio nell’ambito della sicurezza. Nell’information security per rischio si intende l’incertezza nel raggiungimento degli obiettivi di sicurezza. Invece l’articoli 3 dell’AI Act definisce il rischio come la probabilità del verificarsi di un danno, e l’impatto di questo danno».

Insomma, il contesto normativo è sfidante e comporta, ancora una volta, l’esigenza della consapevolezza sull’entità del cambiamento in atto. Le aziende sono alle prese con la difficoltà di reperire le competenze adeguate. «È importante che capiscano che comunque è possibile utilizzare l’IA anche senza avere i massimi esperti mondiali di tecnologia al proprio interno», sottolinea Quartarone. Le competenze vanno calibrate in base alle esigenze specifiche, e saranno diverse per chi sviluppa software e per chi, invece, deve “solo” verticalizzarlo sul proprio business, o applicarlo.

Lo sforzo che invece tutte le imprese devono fare è quello relativo alla consapevolezza. «La dirigenza dell’impresa deve individuare i propri obiettivi, scegliere da chi rifornirsi, e fare riflessioni sulla compliance normativa».

Fastweb, il supercervellone italiano per l’IA: cloud intelligente e progetti di IA basati sui dati

«Vogliamo fare Cloud IA, siamo in grado di ospitare chi ha bisogno di spazio ed efficienza energetica», spiega Domenico Impelliccieri, head of Fast Cloud Ict & Sap Services di Fastweb.

Questo è per esempio il tema su cui si sta maggiormente concentrando Fastweb nel disegnare soluzioni di IA per i propri clienti. L’azienda di tlc guidata da Walter Renna ha inaugurato nel luglio scorso il supercomputer Nvidia Dgx Super Pod per sviluppare un large language model italiano. «Vogliamo fare Cloud IA, siamo in grado di ospitare chi ha bisogno di spazio ed efficienza energetica», spiega Domenico Impelliccieri, head of Fast Cloud Ict & Sap Services di Fastweb. Il modello fondazionale italiano si chiama Miia, ed è addestrato con dati di qualità che arrivano da Istat, Bignami e Mondadori e corrispondono a 15 milioni di libri, e sta lavorando con diverse università. «Non ci siamo dati tempi stringenti, il rischio è di arrivare sul mercato con un modello non pronto, e che quindi commette errori, è alto. Ed è anche difficile stare dietro a regolamenti non ancora ben definiti, per questo abbiamo un board esterno con professori di livello internazionale».

In questo momento, prosegue il manager della controllata di Swisscom, «il lavoro più grosso che facciamo è trovare il caso d’uso giusto per le aziende che si rivolgono a noi per sviluppare progetti di IA. Stiamo cercando di guidarle a creare una cassaforte consapevole del dato, e poi a trovare lo usa case più adatto. Che può essere dimezzare il lavoro ripetitivo, o creare del saving». Un consiglio alle imprese? «Non investire solo su persone IT. Sono importanti, certo, ma per l’IA servono anche skill umanistiche. Alcune aziende lo hanno capito, altre no».

Sap: l’IA deve essere verticalizzata, il concetto chiave è la rilevanza. E il capitale umano è strategico

Carla Masperi, ceo di Sap Italia, indica gli elementi a cui le imprese devono prestare attenzione: l’accesso ai dati; l’affidabilità dei software; il capitale umano.

Sul modo in cui le aziende stanno implementando l’IA e sulle prospettive che questa rivoluzione digitale apre i partecipanti a Change Up dimostrano ottimismo. «Il dato contestualizzato genera valore, e per questo l’IA ci offre la possibilità di un forte recupero di competitività. Un po’ come è successo per la robotica e l’automazione industriale negli ultimi anni, potrà portare benefici importanti» ritiene Carla Masperi. La ceo italiana della multinazionale tedesca dei software per le imprese, indica gli elementi a cui le imprese devono prestare attenzione: l’accesso ai dati, che deve essere selettivo, ovvero consentito alle funzioni aziendali appropriate; l’affidabilità dei software, che dipende dalla qualità della base dati. La rilevanza, ovvero l’attinenza con il processo di business; il capitale umano, come detto, con le esigenze di reskilling e upskilling.

Masperi conferma la consapevolezza a due velocità: «un report Idc indica che nel 2025 il 40% degli investimenti in applicazioni sarà AI related. Ma solo il 28% delle imprese sta già utilizzando l’intelligenza artificiale. E fra queste aziende che l’hanno già messa in produzione, il 78% ha benefici, il restante 22% no».

L’IA e l’energia, Plenitude: la sfida sociale della sostenibilità, l’IA nel 2026 assorbirà il 10% dell’energia mondiale

Giorgia Molajoni, digital, information technology & communication officer di Plenitude, si è soffermata sul tema dei consumi energetici dell’IA, che sono in costante e rapida crescita.

Anche Giorgia Molajoni, digital, information technology & communication officer di Plenitude, si sofferma sul dato e sulle persone. «Noi guardiamo all’IA da un punto di vista duplice: innovazione, sostenibilità, e ricchezza del dato. Io vengo dall’industria hi-tech (Microsoft, ndr) e dal food and beverage (Coca-Cola e Pepsi), settori in cui il dato si esaurisce con la vendita. Nell’energia invece il dato ha una vita più lunga, si raccoglie dalla produzione al consumo e ne abilita l’efficientamento. Quindi, è la colonna portante del business». Ma c’è anche un altro ruolo che le imprese dell’energia sono chiamate a svolgere, e qui la dimensione riguarda il pillar sociale dell’evento Change Up. «Alcune stime ci dicono che già nel 2026 il 10% dei consumi energetici potrebbero essere legati all’IA. Quindi dovremo trovare il modo di essere sempre più efficienti da questo punto di vista». Eni Plenitude è una società benefit e ritiene quindi questa una mission interessante. Fra le sfide, il raffreddamento dei data center, che richiede energia: «i big tech nel mondo cercano di affiancare lo sviluppo di questi data center con un sourcing di energia sostenibile».

Le sessioni tematiche di Change Up, focus sulle HR: un software di hiring basato sull’IA e non sul curriculum

Infine, le sessioni tematiche. L’evento di Archiva ha proposto sei diversi approfondimenti dedicati ad altrettante funzioni aziendali alle prese con lo sviluppo dell’IA: HR drive to change, IA tech for procure, international e-invoicing, tutte le novità della suite Requiro, integrazione in Sao S/4Hana, sostenibilità, contratti digitali.

Fra le novità emerse, le nuove frontiere per il settore delle risorse umane, fra l’altro fra i più attenti allo sviluppo di soluzioni di IA che siano compliance con le normative europee. La suite Archiva offre soluzioni per recruiting e onboarding, gestione dei processi interni HR, formazione, travel, e sales.

Un esempio. Nella suite Requiro è integrata la piattaforma di recruiting basata sull’IA Skilvue, sviluppata dall’omonima startup fondata da Simone Patera e Nicolò Mazzocchi. Che seleziona le persone da assumere non sulla base del curriculum, ma proponendo un colloquio virtuale con un’intelligenza artificiale pensato per far emergere le skill del candidato. Il software effettua poi un’analisi basata su concetti chiave e non sulle parole chiave.














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