«Saremo presto un system integrator leader in Europa». Parola di Giuseppe di Franco, ceo Lutech

di Filippo Astone e Laura Magna ♦︎ Lutech è oggi il terzo system integrator in Italia, ma il numero uno della società guarda oltre e vuole conquistare l'Europa. La strategia punta sulle M&A: dopo l'acquisizione di Stain e Softjam in Italia, arriveranno annunci su nuove operazioni in Spagna e Germania. Smentite le voci circa un passaggio di mano dell'azionista Apax Partners (private equity), che quindi resterà stabile. Focus sull'attività di system integrator: non si vuole fare altro che questo, no attività di software house. I programmi di sviluppo dell'Intelligenza Artificiale, con la capacità di sviluppare infrastrutture potenti, grazie all'ex Atos Italia che ora fa parte di Lutech. Tutti i programmi futuri

Giuseppe Di Franco, ceo di Lutech

«Saremo presto un system integrator leader in Europa. Lo diventeremo attraverso acquisizioni, cominciando da Spagna e Germania. Il nostro modello di business si basa sulla consulenza nella digital transformation e la conoscenza approfondita di mercati e tecnologie». Parola di Giuseppe Di Franco, ceo di Lutech, il terzo system integrator italiano, che ha archiviato il 2023 con fatturato di 850 milioni e punta al miliardo per il 2024. I dipendenti sono circa 5.500. Tra il 2020 e il 2023, il Cagr (cioè la crescita media annua) è stata del 21% sia a livello di ricavi sia di EBITDA. Con ovvia soddisfazione per i fondi private equity di Apax Partners, azionisti dell’azienda. Di Franco guida il gruppo Lutech da aprile 2023, cioè da poche settimane dopo l’acquisizione della divisione italiana del colosso tecnologico francese Atos, dalla quale lo stesso Di Franco proviene.

«Lutech abilita la digitalizzazione delle aziende con un approccio consulenziale», prosegue Di Franco. «Orchestriamo progetti di innovazione basati su software dei partner del nostro ecosistema, come Microsoft, Salesforce, Ppc e Sap. Abbiamo competenze sia applicative, sia nella costruzione delle infrastrutture, con un forte focus sull’implementazione dell’Intelligenza Artificiale. Abbiamo inoltre una storica esperienza nell’hardware ad alte prestazioni: questa capacità è stata in particolare massimizzata dall’acquisizione di Atos Italia, che ha realizzato il supercomputer Leonardo presso il Cineca». Essere system integrator, in altre parole, significa progettare, realizzare e gestire soluzioni digitali end to end, in cui digital, cloud, cybersecurity e servizi gestiti si integrano per raggiungere gli obiettivi delle aziende clienti.







D. Allora è tempo di crescita internazionale?

R. Esattamente. Il valore delle operazioni internazionali oggi rappresenta il 5-10% del fatturato, ma crescerà rapidamente, soprattutto attraverso M&A. A breve annunceremo una nuova acquisizione in Spagna, seguita da un’altra in Germania. Queste acquisizioni saranno finanziate dal flusso di cassa operativo dell’azienda, senza bisogno di aumenti di capitale.
La Spagna è un mercato naturale per noi, grazie alla nostra presenza con Lutech Spain e a clienti importanti come Enel. La Germania, prima potenza manifatturiera europea, rappresenta un’altra area chiave per la nostra crescita, grazie alla nostra posizione di leader nel mercato del manufacturing e alle nostre competenze Sap.

D. Avete anche una sede in Albania: ci spiega che operazioni avete in questo Paese?

R. In Albania stiamo costruendo il nostro Global Competence Center, dove abbiamo già 60 persone impiegate. È già operativo e fornisce una gamma completa di servizi, tra cui consulenza, implementazione e operations su diverse tecnologie e piattaforme innovative. Questi servizi sono rivolti sia ai clienti italiani che internazionali, supportando la trasformazione digitale delle aziende in vari settori. È un investimento che sta andando molto bene, e collaboriamo con l’Università di Tirana e altre istituzioni locali per far crescere questa area.

D. E in Italia? L’M&A sarà anche nel nostro Paese un driver dello sviluppo?

R. Anche in Italia continueremo il nostro sviluppo attraverso acquisizioni, con particolare attenzione a società specializzate in competenze verticali e complementari a quelle che possediamo ora. Per esempio, l’anno scorso abbiamo acquisito Stain, società di Brescia, specializzata in software Mes per la raccolta e la gestione dei dati nel settore manifatturiero, un’area in cui prevediamo una crescita significativa. Nel 2024 abbiamo acquisito Eustema (pubblica amministrazione) e Softjam (partner Microsoft, progetti ad alto contenuto tecnologico in ambito Enterprise).

D. La prima parte del 2024 si è chiusa positivamente. È soddisfatto?

R. Direi decisamente sì! Innanzitutto, abbiamo raccolto nel 2023 un portafoglio ordini per l’anno successivo di un miliardo di euro, che dà un’idea del nostro posizionamento attuale. Abbiamo chiuso il primo trimestre del 2024 confermando il trend positivo dell’anno precedente, con una crescita a singola cifra e un aumento della redditività, tra le poche aziende IT in Italia a registrare una crescita organica significativa. Continuiamo poi ad assumere: circa 800 persone lo scorso anno e quest’anno prevediamo di raggiungere lo stesso obiettivo, con 400 persone già assunte nel primo semestre.

D. Ci può raccontare meglio il vostro modello di business e come è cambiato nel tempo?

R. Siamo nati come system integrator, ora ci definiamo digital partner e intendiamo fare questo mestiere sempre meglio. Facciamo progetti di innovazione basati su tecnologie di terzi, i nostri partner, con cui negli anni abbiamo costruito un prezioso ecosistema che rinnoviamo grazie a continue certificazioni e mantenendo un saldo rapporto di fiducia e collaborazione. Per focalizzarci sempre su quest’area, più di un anno fa abbiamo venduto a Fibonacci Bidco (controllata da Apax, lo stesso fondo che è maggior azionista di Lutech ndr) lo spin-off delle attività di sviluppo software legate all’area finanza, Finwave. Quello che facciamo e vogliamo continuare a fare è fornire consulenza e soluzioni IT per la trasformazione digitale. Non facciamo sviluppo di prodotti, perché sarebbe un mestiere radicalmente diverso.

D. Questa è un’attività interessante: in cosa consiste la consulenza?

Abbiamo costruito una divisione di consulenza, Lutech Next, che fa da ponte tra le tecnologie disponibili e le esigenze di business dei nostri clienti. Ad esempio, se ci occupiamo di come automatizzare un processo aziendale, i consulenti ci aiutano a capire il business case e gli impatti dei possibili interventi e dell’introduzione della tecnologia. Lutech Next è specializzata nella definizione della strategia operativa e nel miglioramento delle performance dei nostri clienti, combinando specifiche competenze di business cross-industry con la forte propensione all’introduzione e al governo di tecnologie innovative a supporto di modelli, organizzazioni e processi. L’obiettivo è dare il nostro contributo nella trasformazione dei modelli di business e nell’innovazione digitale delle aziende italiane.

D. Recentemente sono uscite indiscrezioni circa l’intenzione di Apax Partners di procedere a una vendita di Lutech, magari ad altri fondi di private equity. Ma nello specifico, quanto c’è di vero?

R. Non c’è nulla di concreto in quei rumor. Non abbiamo smentito pubblicamente perché spesso negare qualcosa equivale a darle maggiore rilevanza. In ogni caso, ovviamente è possibile che in futuro, come tutte le società di private equity, anche la nostra possa considerare la vendita. Sarebbe normale, visto che i fondi sono azionisti a tempo determinato: prima o poi devono passare la mano per remunerare il capitale investito dai loro azionisti.

D. Parliamo di intelligenza artificiale: ci ha spiegato come avete potenziato il focus su questa tecnologia. Come va integrata nei processi dei clienti?

R. Innanzitutto, sono orgoglioso di sottolineare la nostra leadership in Italia nella capacità di implementare infrastrutture ad alte performance per l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Questo è legato anche al contributo alla realizzazione del supercomputer Leonardo del Cineca. Il team che ha realizzato la macchina ha competenze molto specialistiche pressoché uniche sul mercato: e questo è un elemento differenziante per noi. Inoltre, stiamo investendo significativamente su processi e soluzioni per mettere a terra l’adozione dell’intelligenza artificiale nelle aziende. Perché ciò avvenga in maniera efficiente, bisogna creare le fondamenta: costruire il database, ridefinire i processi aziendali e far funzionare la “macchina” in maniera diversa rispetto a prima.

Trovo che sulla stampa e nelle conversazioni pubbliche l’intelligenza artificiale venga spesso ridotta al concetto di applicazione (dove effettivamente la leadership è americana, seguita da altri Paesi che non sono l’Italia) ed è una visione molto parziale. Non basta scrivere il software di base. C’è anche l’aspetto di far funzionare l’applicazione, portarla nella vita quotidiana delle aziende e farla incidere sui modelli di business che rappresentano la ragion d’essere delle aziende stesse. Modelli di business che devono cambiare e diventare ogni giorno più competitivi. Un aspetto importante quanto e come lo sviluppo software. E in merito al quale l’Italia, per fortuna, ha molto da dire.

D. Insomma l’Italia – che peraltro non ha una strategia mirata sull’intelligenza artificiale – non sta rischiando di perdere il treno dell’Intelligenza Artificiale?  

R. Certo che no. Il vero tema, come si accennava prima, è l’impatto della tecnologia sul sistema economico. E l’impatto non è limitato ad avere un determinato software, ma dipende dalla capacità di integrarlo in una mappa di funzionamento di una grande istituzione pubblica o di un’impresa. Questo aspetto ha un valore economico che è dieci o cento volte superiore a quello del software stesso. È un passaggio molto importante che sfugge spesso nelle discussioni pubbliche, portando a conclusioni errate. Non è che il fatto che un prodotto sia americano e non europeo significhi che l’Europa sia fuori dall’intelligenza artificiale. Alcuni progetti di digitalizzazione in Italia, ad esempio, sono stati realizzati e grandi benefici sono stati ottenuti con l’introduzione di un Erp, anche se il software era tedesco. Analogamente, posso utilizzare Gpt all’interno delle architetture della mia azienda, cogliendone tutti i benefici. Dunque, forse l’Europa è fuori nella produzione del software, ma nell’implementazione dentro le mappature aziendali c’è ancora molto da fare e possiamo giocare un ruolo da protagonisti.

D. L’IA è un potenziale abilitatore di efficienza anche per voi? Come usate la tecnologia per migliorare Lutech?

R. Su questo stiamo lavorando molto: stiamo utilizzando l’intelligenza artificiale internamente su tanti processi, in tre aree essenziali. La prima è nei processi commerciali, dove utilizziamo la tecnologia per formulare offerte commerciali ai clienti: siamo molto avanti su questo tema, e penso che siamo forse tra le prime aziende in Italia ad avere motori di Intelligenza Artificiale a supporto delle nostre attività operative e della formulazione di offerte ai clienti. La seconda area riguarda la gestione dei ticket, ovvero le segnalazioni che i clienti fanno in caso di malfunzionamenti o richieste di evoluzione di un’architettura informatica. Abbiamo realizzato, nel nostro centro di ricerca di Bari, un sistema di assistenza basato sull’intelligenza artificiale che risponde immediatamente agli utenti. Se il problema non è risolvibile, il sistema individua la causa e propone una soluzione, che poi viene validata dall’intervento umano. Questo accelera il processo di riparazione e migliora il livello di servizio di assistenza. Il terzo punto riguarda lo sviluppo del software funzionale al lavoro di system integration. In questo l’IA fornirà un importante supporto nel definire cosa serve per far girare un sistema di terzi nell’impianto IT delle aziende clienti.

D. Un tema caldo è senza dubbio Transizione 5.0 e i sistemi di incentivi che premiano progetti di digitalizzazione e risparmio energetico. Lei come la vede? E cosa pensa del pacchetto italiano: che impatto avrà sul mercato?

R. Decarbonizzazione e digitalizzazione sono fratelli gemelli che crescono insieme. Per ottenere la decarbonizzazione bisogna digitalizzare. E anche in questo l’IA gioca un ruolo determinante. Se ho la capacità di inserire motori di Intelligenza Artificiale che, per esempio, mi aiutano a mantenere bilanciata la rete, posso introdurre fonti rinnovabili, come il solare. Quanto al pacchetto italiano, non sono un economista, quindi non so valutare gli effetti. Penso però che tutto ciò che stimoli l’investimento nella digitalizzazione e nella decarbonizzazione sia la direzione giusta verso cui un Paese deve andare.

D. Come sta andando il mercato Ict in Italia?

R. Mi sembra ancora assai promettente, con molte opportunità di crescita, soprattutto nel settore della pubblica amministrazione, che penso avrà il tasso di digitalizzazione più alto nei prossimi anni. Spero ci sarà una crescente consapevolezza dell’esigenza di effettuare investimenti, anche per sfruttare al meglio il Pnrr. Nel settore manifatturiero, ad esempio, c’è bisogno di riflettere su alcuni fenomeni inevitabili. Le medie imprese italiane, che rappresentano il cuore del Made in Italy, stanno sempre più competendo con i grandi gruppi europei e internazionali, inclusi quelli cinesi, fornitori di questi grandi gruppi. E in molti casi soffrono.

D. E queste Pmi come possono uscire dall’impasse?

R. Devono investire nel digitale. La produttività del lavoro in Italia è bassa e costante, mentre in altri Paesi europei è in crescita. Questo significa che il divario con le altre economie è destinato ad aumentare. La bassa produttività italiana è dovuta al fatto che molte aziende non investono nella digitalizzazione e nella riorganizzazione del lavoro. Noi siamo forti nella componentistica, nei mobili e nel lusso e lo siamo anche in un contesto globale. Tuttavia, i grandi gruppi clienti di questi settori hanno una sensibilità digitale molto più matura rispetto alle medie imprese, che sono i nodi delle catene di fornitura. Se le medie imprese non si digitalizzano, rischiano di perdere clienti a favore di fornitori più avanzati tecnologicamente. Questo crea un divario di produttività che può ridurre ulteriormente la competitività del Made in Italy.

Insomma, o si investe nelle tecnologie o si muore?

R. Esatto. La capacità di gestire dati complessi e la loro protezione attraverso la cybersecurity sono essenziali per rimanere competitivi. Le grandi aziende richiedono fornitori digitalizzati, e chi non lo è rischia di essere sostituito. Basta dire questo. E bisogna rendere chiaro che per digitalizzarsi non basta comprare nuovi macchinari grazie agli incentivi, come è successo con Industria 4.0, ma bisogna connetterli. A oggi solo il 10% delle industrie italiane ha realmente interconnesso tutti i processi.

Come si è detto, i pacchetti di incentivi sono importanti. La palla è in mano agli imprenditori e all’iniziativa privata: per migliorare la produttività, le aziende devono investire in nuove competenze e ridiscutere la loro missione strategica. Le industrie manifatturiere, inoltre, dovrebbero investire il più possibile in tecnologie per l’automazione che aumentano la produttività. E devono anche formare i propri dipendenti con nuove competenze e riorganizzare il lavoro in modo strategico. Vedremo che cosa accadrà nei prossimi anni. Se la produttività resterà costante (e io spero proprio di no) significa che il sistema nazionale non sta investendo nel futuro.














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